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di Chiara Pazzaglia

Avvenire, 13 agosto 2022

Il piccolo si trova nell’istituto assieme alla sua mamma da oltre un mese: l’hanno sistemato nello spazio del nido. Le proteste. Il più giovane detenuto del carcere della Dozza di Bologna ha due armi e mezzo. E, ovviamente, non ha commesso alcun reato.

Paga le colpe di sua mamma, condannata in via definitiva da circa un mese, per aver reiterato un reato che aveva già commesso. Si tratta di un caso più unico che raro a Bologna, negli ultimi tempi: infatti, di solito, le detenute con figli trascorrono in carcere pochi giorni, per poi ottenere di scontare la pena al proprio domicilio o in case famiglia protette (che non sono però presenti in città). Nel caso di questa detenuta non è ancora stato possibile trovare un’alternativa, ma Antonio Ianniello, da poche settimane confermato dal Consiglio comunale nel ruolo di Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, assicura che si sta lavorando per trovare una soluzione, il prima possibile.

“È in atto un interessamento per l’accoglienza in una realtà del privato sociale”, annuncia. Il bambino, tuttavia, non è in cella. Circa un anno fa, infatti, alla Dozza è stato inaugurato, non senza strascichi polemici, il nido in carcere. È questa la realtà che sta conoscendo il piccolo detenuto: uno spazio adibito a cameretta, con un piccolo giardino esterno, da condividere con la mamma. Iarmiello auspica “una pronta approvazione anche da parte del Senato della Legge Siani, già approvata a maggio dalla Camera”: questa mira proprio ad evitare che le madri con bambini sotto i sei armi finiscano in cella.

Non si tratta propriamente di una novità assoluta: già una norma del 2011 sanciva il ricorso alle case famiglia protette. Tuttavia, non prevedeva oneri per lo Stato, ma solo per gli Enti locali. In sostanza, dal 2011 ne sono state realizzate solo due, a Milano e a Roma. La nuova proposta di legge abbatte questo vincolo ai finanziamenti, ma “la Regione Emilia- Romagna sta già lavorando per individuare soluzioni adatte, utilizzando la rete di servizi esistenti”, conferma il Garante.

Tenere i figli con sé, in realtà, non è un obbligo per le detenute, ma spesso le loro situazioni familiari non consentono alternative: “In ogni caso, non è possibile che un bambino cresca in carcere, che conosca solo divise e sbarre, che non frequenti altri bimbi, in anni cruciali per la sua crescita” chiosa Nicola D’Amore, agente di polizia penitenziaria e sindacalista del Sinappe Emilia-Romagna, che ha sollevato il caso e a cui è difficile dare torto.

“Il nido creato l’anno scorso è un’ottima risorsa, altrimenti, seppure in un reparto a sé, il bambino sarebbe ora in una cella” spiega. Tuttavia, è il primo caso di permanenza così prolungata: “Notiamo nel piccolo una familiarità con la routine del carcere che nessun bimbo dovrebbe avere e che rattrista molto. Per questo abbiamo sollevato il caso, affinché al più presto venga trasferito con la mamma in un Istituto a custodia attenuata per le detenute madri, o venga individuata una misura alternativa” dice D’Amore.

D’altra parte, “la legge ora consente la permanenza dei bambini in carcere con le madri, dunque, anche in questo caso, è stata semplicemente applicata” osserva l’avvocata Silvia Furfaro, presidente dell’Associazione “L’altro Diritto”, che opera nelle carceri da oltre 15 anni, in Toscana e a Bologna. “La presenza del nido è stato un buon paracadute - dice - ma resto dell’idea che l’investimento fatto per istituirlo poteva essere usato per pensare ad altre forme di accoglienza: i bambini non devono varcare la soglia del carcere”.

A suo avviso in Emilia-Romagna, comunque, “ci sono la sensibilità e la volontà di implementare le case famiglia e, per questo, ho fiducia che nel più breve tempo possibile, con il supporto delle Istituzioni, degli organi giudiziali e del Terzo Settore si troveranno sempre di più soluzioni alternative alla detenzione, come in fase di realizzazione nel territorio bolognese”.