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di Daria Shmitko

Corriere dell’Alto Adige, 7 ottobre 2023

Osthoff (Caritas): insegniamo a gestire i conflitti ma valori patriarcali sono ancora radicati. In due anni il numero degli iscritti al training antiviolenza organizzato dalla Caritas è quasi raddoppiato, complice una cresciuta consapevolezza degli uomini rispetto alla violenza di genere. Ma è anche una conseguenza del Codice Rosso che obbliga gli uomini a intraprendere questo percorso. Il responsabile Guido Osthoff: “Insegniamo a gestire i conflitti, ma viviamo in una società nella quale i valori patriarcali sono ancora molto radicati. L’importante è responsabilizzare”.

Le iscrizioni al corso sono in crescita?

“Nel 2021 erano 36, nel 2022 il numero è aumentato a 58. Quest’anno siamo già a 78, e potrebbero ancora arrivare nuove persone. Un aumento notevole che però non significa che la violenza sia aumentata. Sempre più uomini sono disposti a frequentare il training di loro spontanea volontà ma ci sono anche casi in cui sono obbligati”.

In che senso obbligati?

“Grazie alla legge n del 2019 conosciuta come Codice Rosso. Se fanno questo percorso, possono evitare il carcere oppure ottenere uno sconto della pena. Anche i servizi sociali e il Tribunale dei minori inviano uomini violenti che, grazie alla frequenza, saranno facilitati a incontrare i figli. Anche se è solo una proposta senza vincoli legali funziona da incentivo. Chi è condannato per reati da Codice Rosso deve pagare il costo del training, 1800 euro. Per altri è gratuito”.

Però i migliori risultati si ottengono quando la partecipazione è volontaria...

“Certo perché l’uomo prende consapevolezza dei suoi problemi di aggressività e frustrazione all’interno della coppia e cerca una soluzione insieme alla sua compagna in modo pacifico. Chi arriva al nostro training non è riuscito a trattenersi, ha dato una spinta, uno schiaffo o aggredito verbalmente. A volte nel primo incontro l’uomo nega la violenza. Ma a volte capita che si vergogni a raccontare la sua esperienza, che può essere un segnale positivo, l’importante è rendersi conto che bisogna cambiare. Purtroppo gli uomini consapevoli di aver bisogno del training sono solo un’esigua minoranza”.

È un percorso di gruppo, però alcune sedute sono individuali…

“Per prima cosa l’uomo si mette in contatto con noi. Facciamo i primi tre colloqui, individuali. Se l’uomo nega totalmente i fatti, non può partecipare al training. Noi ci scambiamo informazioni con i servizi sociali, le case delle donne e i tribunali e non mi è mai capitato che la violenza fosse falsa. Offriamo poi alla vittima consigli riguarda la sua sicurezza e per sapere la sua versione dei fatti. La collega che contatta le vittime non incontra mai gli autori di violenza e non è influenzata dalle loro risposte. Questo per assicurare che la vittima e i minori siano protetti, che è il nostro primo obiettivo”.

Che strategia usate per elaborare la violenza?

“Importantissimo è responsabilizzare. Ad esempio, può accadere che la mia compagna si sia comportata male con me, ma sono sempre io il responsabile delle mie azioni. Posso decidere di chiudere il rapporto perché lei mi ha ferito, non devo per forza agire con violenza, ma piuttosto trovare altre strategie per uscire dal conflitto in modo pacifico. Il lavoro più difficile è sulla cultura delle relazioni: i valori patriarcali e di violenza sono ancora molto radicati nella nostra società. Fino agli anni 80, se un uomo uccideva la moglie e poteva dimostrare che lei lo aveva tradito, otteneva la riduzione della pena. In Germania invece la donna prima di firmare il contratto di lavoro doveva avere il consenso del marito. Un’altro esempio è la Svizzera dove le donne hanno ottenuto il diritto di voto da soli 50 anni”.

Dopo il corso?

“Io consiglio sempre agli uomini di continuare ad essere seguiti da noi per affrontare disagi, delusioni o frustrazioni. Questo abbassa di molto i rischi di ricaduta nella violenza, perché in realtà gli uomini sono a rischio anche dopo il training”.