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di Francesco Giambertone

 

Corriere della Sera, 7 aprile 2018

 

Il leader del Partito dei lavoratori, condannato a 12 anni di carcere, avrebbe dovuto presentarsi per l'arresto entro le 22 italiane. Ma ha deciso di fare "resistenza pacifica". Il suo avvocato: "Lula non andrà al macello a testa bassa". Luiz Lula da Silva non si consegnerà alla polizia federale di Curitiba.

L'ex presidente del Brasile, che avrebbe dovuto costituirsi entro le 17 di venerdì (le 22 in Italia), ha deciso di non presentarsi, e di portare avanti una "resistenza pacifica" contro il mandato d'arresto. È rimasto nella sede del sindacato dei lavoratori del metallo nella sua città natale, Sao Bernardo do Campo, circondato dai sostenitori. "Non intende andare al macello a testa bassa, per sua libera e spontanea volontà", ha detto oggi uno degli avvocati dell'ex presidente brasiliano, José Roberto Batochio, in dichiarazioni al quotidiano Folha de Sao Paulo.

La difesa - Secondo il legale, il fatto che Lula non si sia consegnato alla polizia di Curitiba al termine della scadenza fissata ieri dal giudice Sergio Moro "non è un atto di ribellione", bensì l'esercizio "di un diritto fondamentale di ogni persona, che è quello di preservare la sua libertà e di non partecipare in nessuna aziona che possa sopprimerla".

La tesi della difesa di Lula, dunque, sembra essere che l'ex presidente è formalmente alla disposizione della polizia federale se i suoi agenti vengono ad arrestarlo - "non si sarà resistenza, né ci sarà violenza", ha precisato Batochio - ma non intende consegnarsi spontaneamente. Fonti della polizia di San Paolo hanno però indicato ai media locali che non intendono procedere ad un'operazione per arrestare l'ex presidente nella sede del sindacato metallurgico Abc di Sao Bernardo dos Campos, almeno finché questa sarà circondata da migliaia di manifestanti pro Lula, giacché un'azione di questo tipo comporterebbe un "rischio di sicurezza troppo grande, tanto per il detenuto come per i poliziotti".

La scelta e il piano - Lula ha passato la notte nella sede del sindacato, "protetto" da dirigenti e militanti del Partito dei lavoratori, da parlamentari e membri dei sindacati; dalla base del suo elettorato che non l'ha abbandonato.

Maduro e Morales: "Persecuzione delle destre" - Mentre i brasiliani aspettano di sapere cosa ne sarà del candidato presidente, tre leader di altrettanti Paesi dell'America latina si sono schierati con il leader del partito dei lavoratori brasiliano: Nicolas Maduro dal Venezuela, Evo Morales dalla Bolivia e Raul Castro da Cuba hanno inviato messaggi di solidarietà a da Silva, "vittima - a loro dire - di persecuzioni politiche".

"Non solo il Brasile, è il mondo intero che ti abbraccia", ha scritto Maduro su Twitter, sottolineando che "la destra, incapace di vincere democraticamente, ha scelto la via giudiziaria per disciplinare le forze popolari". Gli fa eco Morales: "La vera ragione per cui si condanna il fratello Lula è per impedire che torni ad essere il presidente del Brasile. La destra non gli perdonerà mai di aver tolto dalla miseria a 30 milioni di poveri". Anche Castro, nell'assicurare a Lula e a Dilma il sostegno di Cuba, ha giudicato la sentenza su Lula "gravissima".