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di Mara Rodella

Corriere della Sera, 5 agosto 2023

La formazione dentro, le possibilità fuori: una decina di detenuti ha un’occupazione in azienda o in cooperativa, gli altri frequentano i tirocini. Prima ha ascoltato, con molta attenzione. Poi ha alzato la mano: “Parlo quattro lingue, ho sempre lavorato. E ho sbagliato, più volte. Ma vorrei solo una possibilità” ha detto al direttivo dei Giovani imprenditori di Confindustria Brescia in “trasferta” a Canton Mombello. Era il settembre scorso. Lui, detenuto italiano sulla quarantina ancora in esecuzione pena, adesso sta lavorando, anche “fuori”, in azienda: fa l’operaio. E non sgarra nemmeno per sbaglio. La posta in palio è troppo alta. “Quell’incontro è stato un’esperienza incredibile: gli imprenditori hanno potuto vedere la responsabilità e in alcuni casi la competenza” di chi si trova in carcere. “Noi ci siamo” hanno risposto. E la parola è stata mantenuta, ricorda Luisa Ravagnani, garante dei diritti dei detenuti. I quali, di contro, “non hanno più alibi: sanno che un’opportunità se la possono giocare davvero, anche se non è facile, è che è inutile piangersi addosso ripetendo che nessuno li vorrà mai”.

Dentro, fuori. In mezzo, le sbarre. Ma anche una serie di possibilità, se lo si vuole davvero, per provare a costruirsi un futuro migliore. Studio, formazione, lavoro, appunto. Grazie per esempio a Confindustria - che ha recentemente rinnovato l’accordo biennale con carcere e Tribunale di sorveglianza, puntando anche sui corsi di informatica - e alle cooperative attive all’interno degli istituti penitenziari. Nonostante “non tutti i detenuti abbiano un profilo tale per essere inseriti nelle aziende profit, ma piuttosto in forma protetta, sia durante la detenzione che in seguito”. La coop sociale Nitor da anni collabora con Verziano, “sia con l’inserimento inframurario sia, nel caso, con la continuità esterna”. Che non è per tutti. Per lei sì. Ormai ex detenuta, straniera, 35 anni, oggi libera dopo aver scontato la sua condanna, per esempio, ha iniziato nella casa di reclusione, “a seguire la strada verso un reinserimento positivo dopo il carcere”, il suo cambio vita: “Ha frequentato e superato il corso per l’abilitazione di mulettista (e come lei un’altra detenuta e un’altra decina di detenuti maschi), e cominciato a fare le pulizie”. Lo fa tutt’ora, per Nitor, dopo chilometri in bicicletta per andare al lavoro ogni giorno: “Ha dimostrato e sta confermando la sua serietà e affidabilità, la voglia di crescere. Le stiamo cercando un’occupazione compatibile con la sua formazione, in modo che possa diventare indipendente, lontano dal mondo carcerario”.

Le attività sono varie. A Verziano i detenuti (una quindicina) hanno inscatolato cialde di caffè - oltre venti milioni prodotte in un anno - confezionato succhi di frutta, assemblato valvole idrauliche, anche una volta liberi, e farcito dolci - oltre cento chili di cannoncini poi finiti sul mercato. A Canton Mombello è un po’ più complicato, per gli spazi ridotti. Ma “con la cooperativa Fontana ha aperto un laboratorio di piccole lavorazioni e assemblaggi da tavolo. Siamo pronti per partire, almeno con due detenuti che potrebbero salire a dieci” previa selezione: interna sotto il profilo comportamentale, cui seguono i colloqui con la coop di riferimento.

Ad oggi, una decina di detenuti - di entrambi gli istituti bresciani - lavora fuori dal carcere, in fabbrica o cooperativa. “Dentro”, continuano i tirocini formativi a rotazione. I numeri “lievitano” di diverse decine “se si considerano quelli in misura alternativa: registriamo revoche, sì, ma riguardano quasi sempre tossico o alcoldipendenti, cioè gli affidamenti in prova non ordinari e sotto il Sert. In questi casi si torna in carcere ma prevalendo l’aspetto sanitario è possibile chiedere nuovamente la messa alla prova, per tutti gli altri, basta la minima violazione alle disposizioni del magistrato di Sorveglianza e si torna in cella per tre anni”.

Il punto (di svolta) “è che la formazione derivava da iniziative spot legate a realtà di volontariato o del terzo settore in base alla disponibilità, ora per esempio con Confindustria intravediamo la continuità. Perché è importantissimo - spiega Ravagnani - fare sistema per instaurare una fiducia reciproca duratura, in modo che gli interlocutori si uniscano in un progetto di più ampio respiro: si parlino, insomma, per dare circolarità a tutto ciò che si riesce a fare, senza perderne nemmeno un pezzettino”.