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cattolicanews.it, 27 giugno 2024

“Da tre anni sono entrate prepotentemente nella mia vita”. Loredano, detenuto che ha aderito al progetto di Teatro sociale e di comunità “Fragili legami”, promosso dall’Università Cattolica, dalla direzione delle carceri di Verziano e Nerio Fischione di Brescia e da alcune cooperative, parla così di Carla Coletti e Barbara Pizzetti, le animatrici che collaborano con l’Ateneo e sono l’anima di questo percorso. “Ogni volta che finisce il laboratorio siamo rammaricati e non vediamo l’ora che arrivi il martedì successivo, perché per noi è una fonte di stabilità” aggiunge Loredano. “In quelle due ore non ci sentiamo detenuti ma ci ritagliamo uno spazio in cui siamo noi stessi, dove possiamo dimostrare che, se ci viene data l’opportunità, possiamo dare qualcosa anche noi”.

Loredano è uno dei circa quindici detenuti che, insieme ai loro familiari, molti dei quali bambini piccoli, ha partecipato alla festa conclusiva del progetto che ha coinvolto, da marzo a giugno, anche un gruppo di studenti del Dams grazie al coordinamento della professoressa Carla Bino e al finanziamento dei fondi del 5xmille erogati all’Università. Il pomeriggio di chiusura è una vera e propria festa, con giochi, animazioni, musiche, improvvisazioni nel chiostro del Museo diocesano, che ha ospitato l’iniziativa lo scorso 18 giugno. Sullo sfondo, gli agenti penitenziari in abiti civili osservano discreti e rilassati. Al centro detenuti e detenute, con i loro congiunti, si mescolano in un clima di estrema familiarità con operatori e studenti del Dams.

“Il progetto “Fragili Legami”, che va avanti ormai da quindici anni, è una produzione che permette di creare all’interno del carcere un momento di evasione attraverso il teatro” afferma Francesca Paola Lucrezi, direttrice della Casa di reclusione di Brescia “Verziano” e della casa circondariale Nerio Fischione di Brescia. “Un teatro non meramente rappresentativo ma un teatro sociale e di comunità, che consente ai detenuti di mettersi in gioco, usando la mediazione e le tematiche di un laboratorio performativo”.

Il laboratorio prevede, infatti, una prima fase “in cui ci sono dei giochi che creano un clima tale per cui non si capisce più chi sia il detenuto e chi l’operatore” spiega il professor Claudio Bernardi, tra gli inventori del teatro sociale e di comunità. “Dopo questa fase di benessere, la seconda prevede delle improvvisazioni, da cui si tirano fuori vari spunti e anche delle storie. Ogni gruppo lavora su un tema e poi lo presenta agli altri. Su questa serie di materiali alla fine si costruisce uno spettacolo, ma, in parallelo a quest’arte performativa, i legami si cementano e le amicizie si rinforzano”.

Un’iniziativa che ha segnato anche gli studenti del Dams. “Abbiamo avuto la possibilità non solo di fare qualcosa di concreto, ma anche di entrare in una realtà intorno alla quale ruotano molti pregiudizi” racconta Fabio. “Abbiamo avuto, invece, un incontro diretto con i detenuti, siamo stati insieme per tante ore da marzo a giugno. Il teatro è un modo per creare una bolla in cui dimentichi i tuoi problemi e questo è stato molto importante per le persone recluse che abbiamo incontrato”.

Il coinvolgimento negli anni dei coniugi liberi, dei figli e, nel tempo anche di nipoti e altri familiari stretti, è servito “a recuperare un momento di astrazione rispetto al contesto penitenziario, che, attraverso lo strumento del teatro sociale, cioè senza uno spartito preciso, permetteva di costruire un percorso alimentato dalle tematiche che potevano essere importanti per loro da affrontare e da rappresentare” aggiunge Francesca Paola Lucrezi. “Questo perché il teatro sociale è una modalità di espressione traslata che può far recuperare quel pezzettino di identità, di libera scelta, di autodeterminazione che non sia quella contingentata delle tempistiche penitenziarie. È un progetto prezioso che è stato esportato in altre realtà e mi sta molto a cuore perché è di qualità”.