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di Andrea Lezzi

agendabrindisi.it, 25 giugno 2022

Parlare di carcere potrebbe far pensare subito a qualcosa di negativo ma in realtà in questi giorni la nostra città spicca tra tutte quelle pugliesi per un’iniziativa davvero lodevole, che coinvolge la Casa circondariale di Brindisi, il Ministero della Giustizia e un’associazione, dal nome emblematico: Bambinisenzasbarre.

Sono loro, i bambini appunto, i protagonisti di questa bella storia, condivisa in particolare con i papà detenuti, con i quali hanno potuto passare una giornata nel cortile del penitenziario brindisino cimentandosi in giochi, partitelle e sfide tra genitori e figli. Ora, questo tema per chi non è abituato a vivere da vicino una realtà come quella carceraria - compreso chi scrive - potrebbe sembrare secondario ma in realtà coinvolge oltre centomila bambini nel nostro Paese: una città grande più della nostra di soli figli di detenuti.

Questa condizione ha effetti concreti sulla continuità dei legami affettivi tra genitori, in carcere, e figli, fuori. Ed ecco perché poter consolidare rapporti umani durante la fase della carcerazione permette a una persona che sta scontando una pena di coltivare delle relazioni, delle speranze, degli affetti che altrimenti andrebbero persi e che invece si rivelano utili.

Lo sono sia nella fase di detenzione - perché chi vive in carcere sapendo di poter vedere la famiglia, salutare la moglie, giocare con un figlio vive meglio e si relaziona meglio - e sia per quando sarà finito il momento di scontare la pena. Quando si potrà tornare a casa sapendo di trovare qualcuno accanto, di vivere più serenamente il resto della propria vita. A tal proposito c’è un episodio, avvenuto a Messina, circa un mese e mezzo fa, che spiega bene i rischi di sottovalutare questi aspetti. Nella città siciliana, gli agenti della casa circondariale sentirono bussare insistentemente al portone d’ingresso, trovando, dall’altra parte, un ex detenuto. Non si trattava di qualcuno da prendere in custodia, né di un criminale desideroso di costituirsi ma - al contrario - di un uomo libero. Era un ex carcerato che in quella struttura aveva passato gli ultimi anni e che chiedeva insistentemente di poterci tornare, perché senza un posto dove andare.

Di questa storia così triste e assurda - un tentativo di evasione al contrario, in un porto sicuro dove il mondo non cambia mai - ciò che colpisce è la grande solitudine che attanaglia quest’uomo. Lui, come chi - in generale - prova a riprendere le fila della propria vita dopo l’esperienza carceraria e si ritrova ad affrontare un mondo che sostanzialmente non lo aspetta. Non ti aspetta un lavoro, non ti aspetta nessuno a casa, anzi spesso non ti aspetta nemmeno una casa. In questo scenario, dunque, coltivare i rapporti con i propri cari quando si è dietro le sbarre costituisce un elemento essenziale per creare speranza e immaginare obiettivi per il futuro.

I temi del lavoro e degli affetti sono, dunque, quelli centrali per chi prova a tornare alla normalità. Per molti ex detenuti, ad esempio, il senso di smarrimento e confusione non è legato unicamente alla perdita delle certezze di ogni giorno. Non si tratta solamente di lasciarsi dietro ciò che il carcere può garantire: un vitto, un alloggio, un luogo dove passare del tempo.

Questo senso di vuoto, questo disorientamento che - nel caso di Messina - porta una persona di nemmeno quarant’anni ad avere terrore della vita reale, trae probabilmente origine da più elementi. Favorire tutti quegli strumenti che, anche durante la pena, permettano davvero di mantenere dei legami significativi fuori dal carcere è una delle vie più importanti da seguire. Ben vengano, dunque, colloqui, permessi, presenze nei momenti significativi della famiglia - una Prima Comunione o un compleanno. Si tratta di eventi utili anche per alimentare una prospettiva in coloro che, chiusi in una cella, un giorno fuori vorrebbero poter contare su qualcuno da avere accanto: un genitore, un partner, un figlio.

Il lavoro, poi, rappresenta l’elemento fondante per un effettivo reinserimento nella comunità, nonché - come ci dicono tutti dati - un fortissimo deterrente per la recidiva. Ed è per questo che le maggiori risorse dovrebbero essere spese proprio per ridare dignità al lavoro penitenziario, ampliandone la platea e aumentandone la concorrenzialità con l’esterno. Investire su questi aspetti può contribuire a creare quelle condizioni utili per rimanere connessi alla società e costruire una formazione professionalizzante che, una volta fuori, potrà tornare utile.

Chi sbaglia deve pagare, ovviamente. Ma ha anche diritto a non rimanere per sempre da solo. Poter avere accanto una famiglia, poter spendere tempo in un lavoro, in molti casi può dare l’opportunità di riflettere sui propri errori, di cambiare davvero e godersi le cose belle della vita, in primis la propria famiglia.