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di Daniele Mastrogiacomo

La Repubblica, 28 luglio 2023

Il presidente Lasso ha convocato elezioni anticipate per il 20 agosto e ha dichiarato lo stato di emergenza per 60 giorni in tre province per arginare la violenza ormai diffusa anche all’esterno. A meno di un mese dalle elezioni generali diventa esplosiva la situazione in Ecuador. Il paese è in fiamme. Per le strade si spara, si bruciano bus e auto, la gente si rifugia in casa; sospese le lezioni nelle scuole, uffici e negozi chiusi, l’esercito schierato a difesa dei palazzi del potere.

Non sono singoli episodi della violenza che scandisce da mesi la vita nel Paese andino. C’è un piano d’azione coordinato e messo a punto dai boss delle bande criminali in carcere. In 11 penitenziari, contemporaneamente, sabato scorso sono scattate delle sommosse. I detenuti si sono impossessati delle strutture e sequestrato un centinaio di guardie. Lamentavano le condizioni di prigionia, il sovraffollamento, l’igiene, il cibo. Hanno iniziato uno sciopero della fame e si sono asserragliati all’interno dei penitenziari.

Ma in realtà faceva parte del piano che è proseguito all’esterno, con raid delle gang che hanno iniziato a sollevare delle barricate con le carcasse dei mezzi dati alle fiamme, lanciato bombe, sparato raffiche di armi automatiche. Per tre giorni Guayaquil, la capitale costiera dell’Ecuador, crocevia del narcotraffico, appariva deserta. Solo l’intervento dei soldati, dopo una battaglia durata due giorni e due notti, è riuscito a ristabilire una normalità almeno apparente e consentire alla popolazione di uscire dalle case. Gli ostaggi sono stati liberati. Pesante il bilancio di quanto è accaduto nelle carceri: 31 morti, con i corpi squarciati e dati alle fiamme, 14 i feriti.

È da almeno un anno che la tensione, assieme alla violenza, sta mettendo a dura prova la stessa democrazia dell’Ecuador. Si è assistito a una raffica di attentati nei confronti dei candidati alle ultime elezioni amministrative. Chi è stato eletto e non si è adeguato agli ordini delle gang è stato minacciato e spesso ferito. Si registrano aggressioni continue ai giornalisti che hanno coperto l’ultima campagna, killer che agiscono in pieno giorno facendo fuori chi rifiuta di piegarsi alla paura e continua a girare per le strade delle città che governa. La posta in gioco della criminalità è la supremazia sui territori e la gestione dei traffici illegali: dalle estorsioni, alla droga, al flusso migratorio.

Il presidente Guillermo Lasso, centro destra, ha resistito fino a quando ha avuto il sostegno del Congresso. Poi, davanti alla violenza dilagante delle bande, ha gettato la spugna impugnando la cosiddetta muerte cruzada, una clausola della Costituzione che gli consente di sfuggire a un procedimento di impeachment e dissolvere, entro i primi tre anni di governo, il Parlamento. Sono state quindi convocate elezioni anticipate che si terranno il prossimo 20 agosto.

La decisione non ha placato l’attività delle gang che si erano già fatte sentire prima e durante le elezioni amministrative di febbraio. Condizionano le scelte di chi andrà a votare, dettano le regole da rispettare in futuro. Una protervia da AntiStato. In una sequenza impressionante ci sono state decine di omicidi eccellenti. Anche qui candidati a governatore e sindaci presi di mira e falciati come birilli. È stata la campagna elettorale più violenta nella storia del paese, secondo gli osservatori.

Il 5 febbraio, poche ore prima che aprissero le urne, viene fatto fuori Omar Menéndez. Era candidato a sindaco del villaggio di pescatori di Puerto López. La gente è andata in massa a votare e lo ha eletto con oltre il 60 per cento dei voti. E’ stato il primo sindaco nominato alla guida di un paese da morto. La folla di sostenitori lo ha omaggiato assistendo alla veglia funebre che si è tenuta nella sala del Municipio dove è entrato dentro una bara. Allarmate da tanta violenza, le autorità hanno deciso di correre ai ripari e costituire un ufficio di sicurezza per queste nuove elezioni generali.

Chiunque si sentisse minacciato poteva chiedere un servizio di protezione. Ma su 1.200 candidati ci sono state solo tre domande. Delle otto coppie che aspirano alla presidenza, tre hanno rifiutato la scorta. “Il sostegno ci verrà dal popolo”, hanno detto con orgoglio. Nascondersi, o girare protetti da uno scudo di poliziotti, sarebbe una resa. La dimostrazione di una debolezza che chiunque voglia governare il paese non può certo mostrare. Ma significa anche affidarsi al caso. Nessuno può sentirsi sicuro di girare per le strade. Comandano le gang. Wis Chonino, neosindaco di Durán, appena eletto ha convocato il consiglio comunale. Un commando di quattro killer ha fatto irruzione nella sala e ha iniziato a sparare. Ci sono stati tre morti e tre feriti. Chonino è fuggito dal retro, protetto dal servizio di sicurezza. Da quel giorno indossa un giubbotto antiproiettile e non si fa vedere in giro. Nessuno lo biasima.

Tre giorni fa, l’ennesimo omicidio eccellente: Augustín Intriaco, 38 anni, sindaco di Manta, principale porto dell’Ecuador, è stato freddato da quattro proiettili al petto esplosi da due sicari. In pieno giorno, tra la folla, mentre visitava un cantiere per l’ammodernamento del sistema fognario. Intriaco era molto noto e molto popolare. La sua morte ha fatto scalpore. Adesso, la nuova rivolta nelle carceri esplosa in contemporanea in cinque diversi istituti. Ci sono stati morti e undici feriti nel carcere di Gayas per uno scontro tra bande nella città di Guayaquil. Schierati solo qui 2.500 agenti. La situazione non è ancora sotto controllo. Si sentono esplosioni che il governo assicura si tratta di cariche piazzate dalla polizia per aprire dei varchi nelle strutture occupate.

Il movente è sempre lo stesso: la conquista del territorio da parte delle diverse gang sostenute dai Cartelli messicani scesi a sud per gestire in prima persona tutta la catena del narcotraffico. Le sommosse nelle carceri sono nate da uno scontro tra i Tigurones e i Lobos. Questi ultimi sono il braccio destro della Jalisco Nueva Generación, il gruppo egemone in Messico. Il presidente Lasso dichiara lo stato di emergenza per 60 giorni in tre province e lo estende agli undici penitenziari del paese. Tutti invocano il pugno di ferro e guardano come esempio ciò che il presidente Nayib Bukele ha fatto in Salvador nella sua sfida alle pandillas. Settantamila arresti, rinchiusi in un supercarcere che ricorda un campo di concentramento.