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di Marica Di Pierri*

Il Manifesto, 14 marzo 2024

Che siano i tribunali attraverso gli strumenti legali, che siano mobilitazioni o azioni di pressione, l’impressione è che non ci sia ascolto possibile. Nei giorni scorsi due sentenze hanno popolato le pagine dei giornali e richiamato l’attenzione del mondo ecologista. Una riguarda la pronuncia esemplare emessa dal tribunale di Roma contro tre giovani attiviste a attivisti climatici. Si tratta della condanna a 8 mesi di reclusione arrivata la settimana scorsa per i tre attivisti di Ultima Generazione che nel gennaio 2023 avevano imbrattato con vernice lavabile la facciata di palazzo Madama. L’azione non aveva causato danni permanenti alla facciata, che era stata ripulita il giorno successivo.

Oltre alla pena detentiva, il giudice li ha condannati a pagare 60mila euro di risarcimento, sui 190mila chiesti dal pm. Non si tratta di un unicum: negli ultimi mesi molti giovani attivisti sono stati denunciati, messi sotto processo o sottoposti a misure cautelari per azioni di questo tipo, promosse per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di politiche ambiziose per fermare i cambiamenti climatici. Alcuni di loro sono già stati condannati in primo grado, sempre con pene esemplari.

La seconda è una sentenza emessa dal tribunale civile di Roma e questa volta non è di condanna. Riguarda però un oggetto assimilabile: l’azione climatica, la necessità di spingere per politiche efficaci, la volontà di incalzare la politica e inchiodare chi decide alle proprie responsabilità.

In questo caso l’attivismo climatico non era sul banco degli imputati, ma dall’altra parte, impersonata dai 203 ricorrenti e dalle più di 100 organizzazioni promotrici della campagna Giudizio Universale. Sul banco degli imputati invece c’era lo Stato, la sua tepidezza, l’incapacità di mettere in campo politiche climatiche efficaci, gli insufficienti target di riduzione, la volontà di continuare a investire sulle energie fossili anziché sul futuro.

Ebbene, dopo due anni e mezzo di udienze e migliaia di pagine di documentazione, la giudice Assunta Canonaco ha stabilito che no, non può decidere, anzi che nessun tribunale in Italia potrebbe decidere su una domanda del genere. Risultato: una pronuncia di inammissibilità contro la quale già si preannuncia battaglia e che dopo tutto questo ulteriore tempo perso, in quella che è a tutti gli effetti una corsa contro il tempo, appare beffarda, oltre che di retroguardia.

Fa nulla che in molti altri paesi europei (Olanda, Francia, Germania, Belgio) e di tutto il mondo i tribunali hanno dimostrato di poter avere un ruolo cruciale nel valutare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini. In Italia no. Così, un tribunale decide di sottrarsi al suo dovere costituzionale (quello di assicurarsi che lo Stato rispetti i suoi obblighi giuridici e mantenga gli impegni presi per affrontare l’emergenza climatica) mentre un altro tribunale stabilisce che l’attivismo climatico va sanzionato con la prigione, anche se l’azione, in verità, non nuoce proprio a nessuno.

Leggere di seguito queste sentenze fa impressione e ne esce un quadro insopportabile e distorto. Un quadro in cui sembrano non esserci più spazi democratici utili a incalzare la politica. Che siano i tribunali attraverso gli strumenti legali, che siano mobilitazioni o azioni di pressione, l’impressione è che non ci sia ascolto possibile, che non ci sia cittadinanza per le voci di dissenso che pure si levano di continuo.

Mentre l’Italia compare tra i cinque paesi europei con la peggiore performance complessiva in ambito di clima e energia, i combustibili fossili continuano ad essere i principali vettori del sistema energetico nazionale (con 63 miliardi di dollari di fondi pubblici sono stati erogati per sussidiarli nel solo nel 2022 secondo il FMI), mentre l’ISPRA definisce gli scenari di riduzione delle emissioni al 2030 per l’Italia “poco promettenti”, l’assurda scelta del governo è approvare una legislazione che inasprisce le pene contro gli ecoattivisti.

E quella dei tribunali è fare da watch dog. O lavarsene le mani, come Ponzio Pilato.La quadratura del cerchio pare bella e fatta. Ma nessun recinto, per quanto rinforzato, può contenere le spinte sociali. Anzi, più il recinto è stretto, più le spinte sono destinate a diventare forti.

*A Sud