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di Liana Milella

La Repubblica, 26 ottobre 2023

L’allarme di Fnsi e Ordine dei giornalisti per la nuova legge sulla diffamazione. Al Senato dall’otto novembre gli emendamenti alla nuova norma pensata dal centrodestra: multe fino a 50 mila euro e rettifica automatica le minacce più pesanti. La Consulta voleva liberare la stampa italiana dalla minaccia del carcere. Lo ha fatto nel 2022. Ma adesso un bavaglio peggiore, pene capestro da 50mila euro, rischia di ammutolire ugualmente i giornalisti. Alla cella si sostituisce la supermulta che in tempi di crisi economica per gli editori, e di stipendi miserabili per tutti noi, è assai peggio che finire in galera. Tutto è nelle mani della commissione Giustizia del Senato e della sua presidente, l’avvocata Giulia Bongiorno. Ma la minaccia è già scritta nel testo base del senatore meloniano Alberto Balboni su cui, dall’8 novembre, pioveranno gli emendamenti.

Una manciata di giorni, nei quali si può giocare un futuro che, seguendo il faro della Costituzione e del suo articolo 21, dovrebbe garantire la libera informazione. Ma nei quali può anche prevalere una parola - ed è bavaglio - che si risolverebbe nella negazione del diritto di informare e di essere informati. Diciamo la verità, sarebbe assai peggio della prigione. Che ognuno di noi che vive per scrivere è disposto anche a subire pur di tutelare un suo diritto.

Se il panorama è questo - e per tabulas è proprio questo - ciò spiega il vivissimo allarme che ha spinto l’Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa, i presidenti Carlo Bartoli e Vittorio Di Trapani, con la segretaria della Fnsi Alessandra Costante, a rendere pubbliche le preoccupazioni e ad annunciare, con considerazioni molto dure ed estremamente tranchant, l’apertura di una campagna per tutelare il diritto di informare. Saranno proprio Ordine e Fnsi a mettere sul tavolo della Bongiorno - che ancora ieri garantiva i diritti delle donne sottoposte a violenza anche nell’ambito della prescrizione - gli emendamenti che i giornalisti stessi propongono. Un modo per dimostrare che nessuno chiede l’impunità preconcetta, ma pretende regole giuste, proprio nel momento in cui si fa garante di un’informazione trasparente, verificata, obiettiva.