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di Stefano Tosi

informazioneonline.it, 7 aprile 2023

Intervista al nuovo Garante dei detenuti, Pietro Roncari. Il giornalista, decenni di volontariato con i ristretti, subentra a Matteo Tosi. Che cos’è il carcere? “Per certi aspetti assomiglia a un ospedale. È un luogo di sofferenza per un’umanità ferita. Dovrebbe anche essere luogo di cura”.

Pietro Roncari è il nuovo garante per i diritti dei detenuti a Busto Arsizio.

Giornalista a “La Prealpina”, sensibile alle tematiche sociali, 30 anni di conoscenza e frequentazione della casa circondariale, come volontario dell’associazione Detenuti e famiglie di Gallarate. Il garante è figura di nomina comunale, formalizzata dal sindaco, Emanuele Antonelli.

L’albo dei garanti annovera due predecessori: Luca Cirigliano e Matteo Tosi. Persone che si sono spese, nel collegare “dentro” e “fuori”, ma che non hanno nascosto le difficoltà nel promuovere un salto culturale: fare accettare che il carcere è parte di Busto, non un oggetto estraneo materializzatosi in via per Cassano. Nonostante l’impegno di cappellani e volontari, la casa circondariale è una sorta di rimosso.

Come si approccia, Roncari, al ruolo?

Onestamente avevo titubanze. Ho scritto tanto sul carcere, pur non avendo incombenze specifiche. Alla fine ho accettato di proporre la mia candidatura. Mi è stato chiesto. Da operatori che sapevano della mia conoscenza.

Come interpretare il ruolo di garante?

Tutelare i diritti delle persone in carcere significa salvaguardare il loro futuro. Significa offrire una chance in più nell’ottica dell’uscire.

Dunque il carcere come fase…

È così e non potrebbe essere diversamente. Le persone, dal carcere, cercano comunque interlocutori. Hanno perso il mondo, hanno perso un convoglio, gli sono scappati di mano. Per colpa. Ma vivono pur sempre un episodio della vita.

Su cosa occorre insistere?

Sul riagganciarsi alla vita. Relazioni umane, abitazione, lavoro. Talenti da mettere a frutto.

Il concreto delle carceri italiane, però, pone questioni molto concrete. E Busto non fa eccezione…

Ovviamente approfondirò. Prenderò contatto con il mio predecessore. Terrò presente il tema, noto, del sovraffollamento e quello della notevole percentuale di detenuti stranieri. Sapendo per esperienza, però, che chi opera, oggi, già affronta problemi. E li conosce. Senza contare che, nella società, ci sono esistenze carcerate anche senza restrizioni.

Come definirebbe il carcere?

Per certi aspetti, è simile a un ospedale. È un luogo di sofferenza per un’umanità ferita. Dovrebbe anche essere luogo di cura. Il tipo di struttura e schemi mentali diffusi creano barriere. Ma occorre andare oltre.