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di Samuele Ciambriello

vocididentro.it, 3 aprile 2024

Sono saliti a 29 i suicidi in carcere dall’inizio dell’anno. L’ultimo caso questa notte, vittima Massimiliano P., 32 anni, arrestato appena due giorni prima per furto. Rinchiuso nel carcere di Uta, è stato trovato impiccato nella sua cella. Sempre dall’inizio dell’anno sono stati tre i sucidi fra gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria. Sul tema dei suicidi in carcere - cause, effetti e misure - interviene per Voci di dentro Samuele Ciambriello, Garante della Regione Campania delle persone sottoposte a misure restrittive: “Il suicidio è un fenomeno complesso che può essere causato da una serie di fattori, sia individuali che ambientali. Nelle carceri, il suicidio è un problema particolarmente grave, in quanto la popolazione carceraria è già a rischio di vulnerabilità e isolamento. In Italia, il numero di suicidi in carcere è in forte aumento.

Le cause - I fattori che possono portare al suicidio in carcere sono molteplici. Tra i più comuni, in estrema sintesi, si possono annoverare: problemi di salute mentale: i detenuti con problemi di salute mentale sono più a rischio di suicidio e necessitano di un supporto psicologico, psicoterapeutico, psichiatrico e sanitario che li possa seguire dall’inserimento nel luogo di restrizione, nel proseguo del soggiorno oltre che, non meno importante, nel momento di uscita definitivo dal luogo di detenzione e nel re-inserimento in società in quanto tale passaggio è ricco di stati emotivi che passano dall’euforia, alla paura, passando nell’incertezza sulle proprie prospettive di vita futura; difficoltà di adattamento alla vita carceraria: l’isolamento, la mancanza di stimoli e la mancanza di contatti con l’esterno possono portare a sentimenti di depressione e disperazione.

Infatti anche i detenuti che sono alla data di carcerazione “privi di problemi di salute mentale” sono vittime, seppur in realtà dei rei, dell’insorgere di patologie-disturbi di natura mentale scatenati dall’ambiente restrittivo circostante e che molto spesso si presenta sovraffollato, scarsamente igienico e privo di prospettive ri-educative veramente valide e progettuali in termini di lavoro-professione e di re-inserimento sociale; problemi relazionali: i detenuti che hanno problemi relazionali con la famiglia, gli amici o i compagni di cella sono più a rischio di suicidio. Questa tipologia di detenuti avrebbe necessità di percorsi di supporto in ambito affettivo-relazionale e per coloro che hanno figli all’esterno, il tema della “genitorialità” risulterebbe centrale in questi casi; condizioni carcerarie inadeguate: le condizioni carcerarie inadeguate, come il sovraffollamento, la mancanza di spazi adeguati e la mancanza di personale qualificato, possono aumentare il rischio di suicidio.

L’ultima sanzione europea alle carceri italiane è stata comminata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) nel dicembre 2022. Nel suo rapporto, il CPT ha rilevato che il sovraffollamento rimane un problema grave nelle carceri italiane, con un tasso di popolazione carceraria che supera il 130% della capienza regolamentare. Il CPT ha inoltre rilevato che le condizioni di detenzione sono ancora inadeguate in molti casi, in particolare per quanto riguarda lo spazio vitale, l’igiene, l’accesso alle cure mediche e l’assistenza sociale.

Nella storia e nel mondo ci sono stati dei casi emblematici di prigionia in cui il detenuto a vissuto tali situazioni di disagio, ad esempio ricordiamo Nelson Mandela: l’ex presidente del Sudafrica Nelson Mandela, è stato imprigionato per 27 anni in conseguenza del suo attivismo contro l’apartheid. Durante la sua prigionia, Mandela ha sofferto di depressione e ha cercato di suicidarsi più volte; e Aldo Moro: il presidente della Democrazia Cristiana fu rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e tenuto prigioniero per 55 giorni. Durante questo periodo, Moro fu sottoposto a un intenso interrogatorio e alla pressione psicologica.

I documenti che Moro scrisse durante la prigionia, noti come i “Quaderni di Moro”, forniscono una testimonianza diretta del suo stato mentale durante questo periodo. Moro descrive il suo crescente senso di isolamento e alienazione, la sua paura per la sua vita e la sua preoccupazione per la sua famiglia. I documenti di Moro mostrano che la prigionia ha avuto un profondo impatto sulla sua salute mentale. Moro era profondamente depresso e aveva pensieri suicidi.

Gli effetti - I suicidi in carcere hanno un impatto negativo su tutti gli attori coinvolti: i detenuti, le loro famiglie, il personale carcerario e la società civile. Per i detenuti, il suicidio è un evento traumatico che può avere un impatto negativo sulla loro salute mentale e sulla loro capacità di adattarsi alla vita carceraria. Per le famiglie dei detenuti, il suicidio è una tragedia che può causare dolore, sofferenza e senso di colpa. Per il personale carcerario, il suicidio è un evento stressante che può portare a sentimenti di impotenza e frustrazione. Per la società civile, il suicidio in carcere è un problema che solleva questioni importanti sul sistema carcerario e sulla sua capacità di garantire la tutela dei diritti umani.

Misure di prevenzione - Per prevenire i suicidi in carcere è necessario intervenire sui fattori che possono aumentarne il rischio. Tra le misure che possono essere adottate si possono annoverare: un’adeguata valutazione dei rischi: è importante identificare i detenuti che sono più a rischio di suicidio e mettere in atto misure di prevenzione specifiche; un’assistenza sanitaria mentale qualificata: è fondamentale garantire ai detenuti con problemi di salute mentale un’assistenza sanitaria qualificata; un’adeguata formazione del personale carcerario: il personale carcerario deve essere adeguatamente formato per riconoscere i segnali di allarme del suicidio e per intervenire in modo efficace; condizioni carcerarie adeguate: è necessario migliorare le condizioni carcerarie, in particolare riducendo il sovraffollamento e garantendo spazi adeguati e personale qualificato.

Conclusioni - Il suicidio in carcere è un problema grave che richiede un’attenzione urgente. È necessario intervenire sui fattori che possono aumentarne il rischio, adottando misure preventive efficaci. Il primo grande passo da intraprendere è riconoscere l’inadeguatezza normativa e strutturale del nostro sistema penitenziario e contestualmente rilanciare una campagna di reclutamento nei confronti di figure professionali al fine di costruire una rete multidisciplinare che accompagni i detenuti nel loro ingresso nel circuito carcerario, nel percorso di ri-educazione e nel re-inserimento in società. Il tema del futuro sarà quello di convogliare psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, educatori, assistenti sociali, sanitari e non solo, in un circuito di rete professionale che possa veramente assistere il ristretto nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione che recita infatti: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.” Questo articolo riconosce il diritto alla salute di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione sociale o dalla loro condizione di detenzione. In particolare, la Costituzione prevede che i detenuti abbiano diritto a cure mediche di base, cure odontoiatriche e servizi di salute mentale. L’articolo 27 della Costituzione recita infatti: “La pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e degradanti per la persona.” Questo articolo vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, inclusa la privazione di cure mediche”.