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La Nuova Sardegna, 29 luglio 2023

Un detenuto, che pare non avesse nessuna patologia psichiatrica e, dalle prime indiscrezioni, non avesse mai assunto comportamenti che facessero sospettare potesse mettere in atto gesti auto-soppressivi, si è suicidato nelle ore notturne nel bagno della propria camera detentiva, che condivideva con altri compagni di detenzione. Lo ha fatto utilizzando un lenzuolo intrecciato che ha legato alla finestra del proprio bagno.

Il personale ha immediatamente dato l’allarme agevolando gli interventi dei sanitari ma a nulla sono valsi i soccorsi seppur tempestivi. A rendere nota la notizia, il segretario generale della Uil Pa Polizia Penitenziaria Michele Cireddu che afferma: “Si tratta dell’ennesimo evento critico nell’Istituto di Uta, dove sono allocati circa 600 detenuti e dove si registra una carenza organica di agenti di circa 140 unità. Le proporzioni numeriche offrono un quadro estremamente significativo, quando va bene, tre unità devono assicurare il controllo di 3 sezioni dove sono allocati complessivamente circa 100 detenuti, e nei 4 piani detentivi la situazione è pressoché simile, è umanamente e oggettivamente impossibile garantire quindi un controllo assiduo.

Servono urgenti integrazioni di poliziotti che possano gestire i continui eventi critici che si verificano in Istituto, ma servono anche interventi urgentissimi per correggere le deficienze organizzative, per fornire strumentazioni e tecnologie adeguate, servono insomma urgenti misure emergenziali e strutturali”. Il segretario nazionale della Uil De Fazio ha definito il numero esorbitante di suicidi come una “pena di morte di fatto” e non è difficile preventivare che senza interventi concreti, basandoci solo sulle parole di facciata della classe politica e dei vertici dei palazzi romani, la situazione continui a peggiorare drasticamente ed irreversibilmente.

Sulla vicenda è intervenuta la garante regionale per le persone private della libertà, Irene Testa: “In questa settimana mi sono recata quasi tutti i giorni nel carcere di Uta. La polizia penitenziaria è allo stremo delle forze. I detenuti e le detenute costretti a stare in cella con un caldo insopportabile. I ventilatori che l’amministrazione consente di acquistare costano 40 euro, quasi il doppio rispetto all’esterno; la maggior parte dei detenuti non li può acquistare.

Il caldo si sa acuisce il disagio soprattutto nella popolazione con problemi psichici, circa la metà dei detenuti ospitati. Non è un caso che stanotte, ancora una volta un detenuto psichiatrico si sia tolto la vita. Proprio due settimane fa avevo scritto al presidente Mattarella affinché si facesse carico della questione riguardante i malati psichiatrici. La risposta non è arrivata ma i problemi rimangono. Le carceri rimangono luoghi abbandonati a se stessi e tutto è lasciato alla grande opera di volontari, direttori e agenti. È evidente che anche il diritto alla salute viene violato. Un ventilatore in cella non fa un carcere a 5 stelle”.

Comunicato stampa dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme

“È inutile girarci intorno: le carceri sono prevalentemente il luogo della pena di persone senza speranza. Le tragedie documentano lo stato di disperazione di vite devastate dal disagio e dalla fragilità”. Lo sostiene Maria Grazia Caligaris dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme ODV” avendo appreso del suicidio nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta di F.A., 54 anni, originario di San Gavino Monreale, trovato impiccato ieri notte nel bagno della sua cella.

“Nell’esprimere le condoglianze ai familiari e in particolare alla figlia, SDR non può tralasciare di considerare che un atto di autolesionismo estremo in una cella rappresenta una sconfitta per le Istituzioni e genera dolore e sgomento in tutte le persone che operano nel carcere”.

“Parlare delle condizioni della detenzione oggi in Italia e in Sardegna significa - sottolinea Caligaris - farsi portavoce di bisogni primari, secondo il dettato costituzionale. Il principale dovere delle Istituzioni è quello di leggere e interpretare la realtà e offrire alternative adeguate a chi per motivi diversi non è rimasto nel solco della legalità. I bisogni umani, culturali e sociali di chi sbaglia devono essere accompagnati da progetti di crescita e integrazione.

Nelle carceri sarde mancano gli Agenti e i Direttori sono tutti a scavalco. Questo significa non riconoscere il peso della perdita della libertà. Spesso in carcere un disagio dissimulato o poco avvertito sconfina nella tragedia ma è certo che la povertà socioculturale e le scarse o nulle prospettive hanno un ruolo determinante nelle pur insondabili scelte di una persona. Ne siano consapevoli soprattutto - conclude l’esponente di SDR - i convinti carcerocentrici. Non si può più continuare a stare alla finestra”.