sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Matteo Cardia

ilporticocagliari.it, 30 novembre 2024

Nuovo appello dopo un nuovo suicidio all’interno del carcere di Uta. Una situazione sempre più complessa. In cui la luce in fondo al tunnel, ancora, non si vede affatto. I detenuti e i lavoratori delle carceri sarde vivono una realtà sempre più amara, in cui l’assenza dell’azione legislativa appare ancora più pesante che nella vita fuori dalle celle di detenzione. Dopo aver tentato il suicidio nella giornata di sabato 23 novembre, un detenuto del carcere di Uta si è spento nella giornata di mercoledì 27. Una nuova triste pagina che si aggiunge alle oltre ottanta già scritte nell’ultimo anno all’interno delle carceri italiane.

Un fatto annunciato - “È stata una vicenda che ha scosso l’animo di tante persone - ha dichiarato ai microfoni di Radio Kalaritana la garante dei detenuti della Sardegna Irene Testa - che hanno avuto a che fare con il ragazzo, per il fatto che innanzitutto lui non doveva neanche stare in carcere, perché destinato a una comunità. Era un ragazzo fragile, con dei disagi importanti, che non ha retto alla vita carceraria e di conseguenza si è tolto la vita. Era però, purtroppo, un avvenimento annunciato”.

Tra chi si è tolto la vita in carcere ci sono il più delle volte individui affetti da problematiche di salute mentale. “Se andiamo a vedere la casistica ci rendiamo conto che chi si toglie la vita sono spesso i giovani che hanno dei disagi, delle dipendenze, delle doppie diagnosi. Dico per questo che è necessario mettere a disposizione le comunità che esistono e che se ne creino di nuove. Il carcere non può sostituire le comunità nel territorio”.

Riaffermare i diritti - A oggi appare fortemente necessaria ancora una lotta per far comprendere l’importanza dei diritti dei detenuti: “Questo ragazzo - continua la garante della regione Sardegna - aveva lasciato scritto tempo addietro che voleva donare i suoi organi. Sono stati così donati gli organi a 7 persone, ha salvato 7 vite. Ci tengo a dire questo perché credo che la vita di una persona che è privata della libertà debba avere la stessa dignità e lo stesso valore che hanno le vite delle persone libere. Come cambiare narrativa e rendere il legislatore più attento? - continua Testa - Credo che il legislatore dovrebbe vedere di più perché non basta avere i numeri e i fascicoli, è importante conoscere da vicino e toccare con mano la situazione perché negli anni la popolazione detenuta è cambiata. Si richiude il disagio”. Da qui passa un appello alla politica e al governo: “Il ministro della Giustizia Nordio - conclude Testa - ci aveva garantito che ci sarebbe stato un albo con tutte le comunità e che quindi tutto il disagio psichiatrico o le dipendenze sarebbero state gestite in un altro modo. Al momento non è così, quindi noi non possiamo fare altro che continuare ad appellarci a un Ministro che ha delle responsabilità oggettive”.