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di Errico Novi

Il Dubbio, 18 novembre 2022

Dopo l’iniziale impennata, si profila la tregua nella politica giudiziaria della maggioranza. In perfetta coerenza con la linea della premier Meloni, ha parlato di “lavoro nei penitenziari” e anche di “sport”, ha ricordato la necessità di rilanciare l’edilizia carceraria, ma non ha fatto cenno a soluzioni per limitare il ricorso alle pene inframurarie. D’altra parte, alcuni di quegli strumenti sono già disponibili nella riforma Cartabia. In cui si prevede un maggiore ricorso alle misure alternative, anche nel senso di renderne l’applicazione possibile fin dalla sentenza di condanna.

La Riforma Cartabia come “prova di tenuta” - Ora, il testo messo a punto dalla ex guardasigilli è uno snodo chiave, una prova di tenuta, per Nordio e per la sua maggioranza. Nel senso che, se nella coalizione di governo qualche esponente delle due forze più “intransigenti”, FdI e Lega, provasse a scalfire anche solo un po’ l’orientamento garantista della riforma, allora in quel caso Nordio dovrebbe fare appello a tutta la propria abilità diplomatica per incassare il colpo senza mettere in crisi il suo rapporto con i partiti di riferimento. Ma si tratta di uno scenario che, con il passare dei giorni, sembra allontanarsi. L’altro ieri, in commissione Giustizia al Senato, ha cominciato a entrare nel vivo l’esame del decreto 162, che com’è noto contiene norme sui rave, sul covid, ma anche sull’ergastolo ostativo e sulla riforma Cartabia, nel senso che ne sospende l’entrata in vigore. A rappresentare il governo nel parlamentino di Palazzo Madama è stato il sottosegretario Andrea Ostellari, e a leggere la relazione introduttiva ha provveduto un’altra leghista, la presidente Giulia Bongiorno, che è anche relatrice del ddl di conversione.

L’accenno di Bongiorno ai paradossi del rinvio - Nessun particolare rilievo politico, eppure, almeno in un passaggio, Bongiorno ha dato l’impressione di voler valorizzare la portata garantista della riforma Cartabia. In particolare quando ha ricordato “l’ordinanza dello scorso 11 novembre” con cui “il Tribunale di Siena ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 6 del decreto”. E quell’articolo, ha tenuto a sottolineare la presidente della commissione Giustizia, nel rinviare l’entrata in vigore del testo Cartabia, ha “di fatto esteso la procedibilità d’ufficio per quei reati che la riforma penale aveva deciso di rendere perseguibili solo a querela, “precludendo così il riconoscimento di già maturate fattispecie estintive della punibilità, in evidente assenza di sufficienti ragioni che possano giustificare il diverso e più deteriore trattamento penale che consegue alla vigenza della censurata disposizione” “. Nota, arricchita dalla citazione dell’ordinanza senese, non proprio neutrale: soprattutto nel senso che tende a non contemplare neppure l’ipotesi che una norma garantista come quella richiamata nell’istanza di remissione alla Consulta possa essere cancellata in Parlamento.

Poi certo, le scelte dei partiti per le audizioni di martedì prossimo - Forza Italia ha chiamato due alfieri del garantismo come Gian Domenico Caiazza e Vittorio Manes, il Pd un co- autore della riforma come Gian Luigi Gatta - possono anche far pensare ad armi che si affilano in vista del conflitto. Ma più di un senatore di maggioranza, dalla commissione, spiega che è “assai improbabile” un intervento di modifica sulla riforma penale. Ci si comincia a rendere conto, oltretutto, che i contenuti di quell’intervento sono indispensabili anche in ottica Pnrr. E così, col passare dei giorni, anche in Fratelli d’Italia si è assai raffreddata l’ipotesi di modificare le novità introdotte dalla riforma in campo sanzionatorio. Tanto più che aver rinviato anche quella specifica parte del testo Cartabia ha già innescato una semiparalisi dell’attività penale, come riferito ieri su queste pagine.

Dalla fiammata del dl 162 all’assestamento - Nei primissimi giorni di vita del nuovo esecutivo, con il decreto 162 che, appunto, ha riguardato pure ergastolo ostativo e processo penale, la premier Giorgia Meloni ha anche accarezzato l’idea di una linea più stringente sulla giustizia. Ma si è trattato del combinato disposto di vari fattori: dall’appetibilità di un rapido intervento sui rave, promosso peraltro dal Viminale più che da Palazzo Chigi, fino all’oggettivo rischio che la Consulta, senza un testo vigente sull’ostativo, potesse sdoganare senza argini la liberazione condizionale degli ergastolani di mafia. In più ci si sono messe le richieste dei magistrati per una disciplina transitoria sul penale. Un mix di slancio politico e circostanze emergenziali che ha prodotto l’iniziale fiammata sulla giustizia: ora quel fuoco tende decisamente a placarsi.

A via Arenula, un assetto “duale” che impone cautela - Entrano in gioco vari altri fattori. Il fatto che a via Arenula si sia disegnato un assetto da Berlino del dopoguerra, con il ministro Nordio e il suo vice, Francesco Paolo Sisto di Forza Italia, interpreti della vocazione più garantista, e i due sottosegretari, il citato Ostellari e Andrea Delmastro di FdI, a presidiare le istanze più intransigenti. Paradossalmente, proprio la convivenza, all’interno dello stesso ministero, fra le due anime della maggioranza, contribuisce a imporre la tregua. Se non ci fosse, la Giustizia, intesa anche come luogo fisico, rischierebbe di diventare sul serio l’epicentro delle tensioni interne al governo. E invece, ieri mattina, a Palazzo Chigi, si è svolta una riunione ristretta in cui Nordio ha discusso delle deleghe da attribuire al viceministro e ai due sottosegretari. Non s’è litigato, non è divampato uno psicodramma. E forse, di qui in avanti, per un concorso di fattori, la coalizione di governo affinerà sempre più la capacità di evitare che, sulla giustizia, si creino attriti pericolosi.