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La Repubblica, 18 maggio 2023

Il lavoro delle équioe di Medici Senza Frontiere. Attualmente sono tra 400 e 600 le persone ferme nella città francese. Un numero inferiore rispetto agli anni scorsi, per le politiche francesi che disperdono e rendono invisibili le persone. Alla frontiera franco-britannica ogni giorno centinaia di persone cercano di raggiungere il Regno Unito, rischiando la vita per l’assenza di prospettive in Francia o per raggiungere parenti o amici nell’Isola. Attualmente sono tra 400 e 600 le persone ferme a Calais, un numero più basso rispetto agli anni scorsi, da una parte perché sono aumentati gli attraversamenti, ma anche perché le politiche francesi (note come “Zéro point de fixation”) disperdono e rendono invisibili le persone lungo la costa settentrionale della Francia. La mancanza di servizi da parte delle autorità francesi, l’isolamento da parte delle comunità locali e le barriere linguistiche indeboliscono ulteriormente queste persone, che hanno subìto violenze e traumi durante il percorso migratorio. E’ questa la ragione per cui le équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) sono tornate ad operare a Calais, fornendo cure mediche e supporto psicologico alle persone in movimento.

Il lavoro negli insediamenti informali. “Gli sgomberi sistematici da parte della polizia, a volte attuati con la violenza, la confisca degli effetti personali, l’emarginazione e gli ostacoli posti al lavoro delle organizzazioni di volontariato - dice Pauline Joyau, coordinatrice del progetto di MSF a Calais. - hanno portato a una situazione sempre più precaria per le persone in movimento, contribuendo al deterioramento del loro stato di salute”. Per rispondere ai bisogni di salute e facilitare l’accesso all’assistenza sanitaria, l’équipe di MSF è in azione negli insediamenti informali, nei centri diurni e nei rifugi a Calais. È qui che vengono identificati i casi più vulnerabili che poi vengono indirizzati nei centri medici che offrono cure gratuite o in ospedale, in piena collaborazione con gli operatori sanitari pubblici.

Gravi problemi respiratori. La maggior parte presenta problemi respiratori legati all’esposizione al freddo e alla mancanza di cure per infezioni o soffre per le ferite provocate dalle cadute dai camion usati per attraversare la Manica. L’équipe di MSF ha assistito anche persone vittime di violenze fisiche durante il viaggio o sopravvissute a esperienze traumatiche, come il naufragio nella Manica. “Ogni giorno la polizia sequestra le coperte e le tende fornite dalle organizzazioni di volontariato. Ho dormito sotto la pioggia, al freddo” racconta Abu Qasim, nato a Yarmouk, un campo profughi palestinese situato a sud di Damasco.

Aumento il numero delle tragedie personali. La riduzione di canali legali e sicuri verso il Regno Unito non fa che aumentare il numero di tragedie lungo questa frontiera. Secondo l’Observatoire des migrants morts à Calais, tra il 1999 e il 2023 più di 350 persone hanno perso la vita in Francia, Belgio, Regno Unito o in mare mentre cercavano di raggiungere l’Inghilterra. Altre migliaia vivono con ferite fisiche e psicologiche a causa delle politiche dei governi francese e britannico.

La collaborazione con i volontari. L’équipe di MSF collabora con organizzazioni di volontari che operano da tempo nella zona. “È grazie a loro e alla generosità di alcuni cittadini solidali che le persone migranti sono in grado di soddisfare i loro bisogni primari” conclude Joyau di MSF. “Tuttavia, sono in aumento gli ostacoli al lavoro delle associazioni e la pressione sui volontari. Nonostante le denunce e gli appelli, le pratiche della polizia e delle autorità locali non sono cambiate”.

Le storie di due pazienti di MSF a Calais

 

Abu Ahmad. “Mia moglie è in Sudan, ma so che non potrò rivederla”. Abu Ahmad è fuggito dal Sudan, dove è stato detenuto arbitrariamente all’età di 15 anni a causa della sua affiliazione tribale. “Ho passato 13 anni in prigione senza motivo - ha raccontato - sono stato picchiato con manganelli e talvolta con tubi di gomma e ferro. Mi hanno rotto un piede, provo ancora dolore e porto i segni della tortura sui piedi e sulle gambe. Sono riuscito a fuggire dalla prigione e mi sono rifugiato in Ciad, dove ho lavorato in una miniera d’oro a Kouri, a pochi chilometri dal confine libico. Dopo aver raccolto 700 grammi d’oro, il capo si è rifiutato di pagarmi e mi ha minacciato di morte. Così ho preso la strada per la Libia, ma un trafficante ha rubato tutti i miei soldi e mi ha venduto come schiavo. Sono stato sfruttato per oltre un anno. Alla fine, sono riuscito a fuggire dalla Libia via mare per rifugiarmi in Europa. Sono sposato con una donna in Sudan, ma so che non potrò mai più rivederla”.

Abu Qasim. “Ogni giorno la polizia sequestra le coperte che ci donano le associazioni”. Abu Qasim è nato a Yarmouk, un campo profughi palestinese situato a sud di Damasco. Per molto tempo il campo è stato assediato dalle forze filogovernative siriane, privando la popolazione di cibo e beni di prima necessità. Abu Qasim ha perso una gamba a causa dell’esplosione di un mortaio. “Ogni giorno la polizia sequestra le coperte e le tende fornite dalle organizzazioni di volontariato. Ho dormito sotto la pioggia, al freddo. Abbiamo cercato di riscaldarci accendendo un fuoco, ma la polizia è venuta a spegnerlo con gli estintori e ci ha gettato acqua addosso.

“Ho seppellito 18 persone”. Con la mia disabilità, ogni piccolo compito è complicato, che si tratti di lavarsi, andare a prendere il cibo o anche solo sedersi. In Siria ho sofferto molto e a volte mi tornano ancora in mente brutti ricordi. Il campo di Yarmouk è stato a lungo assediato dalle forze filogovernative siriane. Ho seppellito 18 persone e ogni giorno perdevo qualcuno vicino a me per fame o malattia. Ho perso una gamba in un’esplosione che ha ucciso cinque miei amici. Dopo di che ho deciso di lasciare la Siria per raggiungere la mia famiglia in Europa”.