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di Vincenzo Falci

Giornale di Sicilia, 31 ottobre 2023

La procura apre un fascicolo sulla morte in cella di un detenuto. Il ventottenne Damiano Cosimo Lombardo che ha chiuso il suo conto con la vita a pochi mesi dalla fine della condanna per tentato omicidio che stava scontando. Per un accoltellamento la notte dell’11 dicembre del 2016. Nessun nome, in questo momento, è stato iscritto nel dossier che il sostituto procuratore Simona Russo ha istruito. E per mettere nero su bianco è stato disposto l’esame autoptico sulla salma del ragazzo. Tra una settimana esatta il pm conferirà l’incarico al medico legale. Intanto i familiari del ragazzo deceduto al “Malaspina”, il padre, Massimiliano Salvatore Lombardo, la madre, Concetta Panebianco, il fratello, Rosario Mattia, le sorelle Noemi Luca e Giada Giorgia Pia e la campagna Stefy Noel Pagliaro (assistiti dall’avvocato Davide Schillaci) si sono riservati sulla presentazione di una denuncia per verificare eventuali responsabilità.

Non velatamente hanno messo in discussione la mancata presa in carico da parte del servizio psichiatrico, perché in precedenza vi sarebbero stati diversi segnali allarmanti in tal senso da parte del ragazzo. Fino a quando domenica si è consumato l’irreparabile. Il caso, in sostanza, secondo il legale delle parti offese, durante il periodo detentivo non sarebbe stato adeguatamente attenzionato. E il dolore della madre, assai composto, racchiude l’enorme tragedia per la perdita del suo ragazzo. “Soffriva di sbalzi d’umore, abbiamo chiesto più volte aiuto, che potesse andare ai domiciliari o in una comunità che potesse assisterlo, ma la nostra voce è rimasta sempre inascoltata? mio figlio era disperato”.

Non c’è rabbia né nelle sue parole, né nei toni”. Non chiedevo di portarlo a casa, ma di curarlo, ma dicevano che era idoneo a restare in carcere? idoneo, però gli davano medicine?”, parole, le sue, da cui traspare un dolore sordo, ma con un contegno che ispira ammirazione. “Già tre volte aveva tentato, era finito in ospedale, poi in isolamento, ma non hanno mai voluto affidare a cure adeguate”, ha ricordato con profonda amarezza. E poi il grande, enorme, rammarico. “Il 17 novembre, finalmente, era stata fissata l’udienza perché avevamo chiesto che fosse trasferito in una comunità di recupero, perché potesse essere seguito da uno psicologo? ma non ce l’ha più fatta, non ha più retto? non ci siamo arrivati”, non si dà pace, con compita sofferenza, mamma Concetta.