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di Viviana Lanza

Il Riformista, 4 giugno 2022

Garanti e politici a confronto. Lo ha voluto il Garante regionale Samuele Ciambriello nel tentativo di aprire uno spiraglio di luce nel buio dell’indifferenza che circonda il mondo penitenziario. “Ho ritenuto importante, d’intesa con la Conferenza dei garanti, organizzare questo evento a Napoli per avvicinare i due mondi: da una parte i garanti e il Terzo settore e dall’altra la politica. Una campagna di ascolto”, spiega illustrando il convegno dal titolo “La politica incontra il carcere” organizzato nei giorni scorsi nell’aula del Consiglio regionale della Campania.

“La politica va incentivata ad occuparsi del carcere, dei suoi problemi, di tutte le difficoltà che giornalmente affrontano i diversi operatori del sistema penitenziario - aggiunge Ciambriello - . È importante che la politica metta in atto scelte precise per un cambiamento radicale del sistema penitenziario, per garantire la tutela della salute in carcere, per facilitare l’accesso alle misure alternative. Il carcere non può essere una risposta semplice a bisogni complessi”. Se come diceva Goethe, “parlare è un bisogno, ascoltare è un’arte”, conoscere diventa una necessità e adottare iniziative deve diventare un impegno. Un impegno che deve assumersi la politica. “Siamo qui per parlare di carcere al tempo di una crisi sociale, sanitaria, una crisi mondiale. Non è possibile stare tutti zitti, ancora zitti. Se parlare fosse solo consolatorio già sarebbe un aspetto positivo. Noi garanti ci impegniamo quotidianamente nelle nostre strutture penitenziarie di riferimento, rinnoviamo la massima disponibilità a cooperare e a dialogare con le direzioni delle carceri, del mondo del Terzo settore, con la magistratura di sorveglianza, ma molte volte i tempi non coincidono. Molte volte i tempi, anche di coloro che operano in carcere, sono estremamente lunghi”.

Quante volte abbiamo sentito dire che il carcere deve diventare un luogo più dignitoso e sicuro per chi ci vive e per chi ci lavora. Il passaggio dalle parole ai fatti è ancora lontano. “Allora chiediamoci, tutti insieme, alcune cose oggi - aggiunge Ciambriello - è possibile una funzione rieducativa della pena in questi spazi carcerari? (Vi potrei citare il carcere di Poggioreale, dove ci sono celle da 6/8 persone). È possibile una funzione rieducativa della pena e una inclusione sociale? (Si consideri che in moltissime carceri non ci sono spazi di socialità, spazi dell’intrattenimento, spazi culturali)”. Le risposte, con gli incisi che fa il garante, appaiono scontate: non è possibile affermare che le nostre carceri rispettino il dettato costituzionale. “Ad Ariano Irpino hanno costruito una sezione detentiva nuova sul campo da calcio, salvo poi dimenticare di costruire un nuovo spazio verde affianco”, ricorda Ciambriello.

In carcere gli atti di autolesionismo sono in grande aumento, l’altro giorno un nuovo caso di suicidio in cella a Santa Maria Capua Vetere. “Quante altre cose ci sarebbero da dire, ma ritorniamo alle responsabilità della politica - aggiunge - Perché in questi anni, anche in piena crisi sanitaria, non sono state compiute scelte che mirassero alla centralità della persona? Perché non c’è stata una decisione, anche solo il minimo sindacale, sulla liberazione anticipata? Perché è stato anche solo scandaloso parlare di un indulto in Italia, visto che il Covid ha provocato nel mondo milioni di morti e miglia e miglia di morti in Italia, compresi agenti di Polizia penitenziaria e detenuti? Nella mia regione, 7 detenuti morti per Covid, 6 agenti, un dirigente sanitario. E la politica non dà una risposta a tutto questo? In tutta Europa 158mila detenuti sono usciti dal carcere. Il Portogallo ha fatto un’amnistia. Qui si ha paura, si indietreggia”.

Il carcere deve diventare l’extrema ratio. Il garante chiama in campo la politica. “La politica non può rendersi attiva solo con riforme”, dice. “La politica può e deve potenziare il numero degli operatori socio-sanitari nelle carceri e stranare altre criticità. Per 25 anni non è stato bandito un concorso per direttori di carceri? Questo a Roma non lo sapevano? - chiede provocatoriamente Ciambriello - Non si sapeva che, nel breve tempo, sarebbero mancati educatori, vicedirettori, agenti? A capo del Dap abbiamo bisogno di un manager, non sempre di magistrati. A Roma non si sapeva che il 30% dei nostri detenuti sono stranieri e si fa un concorso per appena 64 mediatori culturali, ma non linguistici? La politica - conclude Ciambriello -, allora, deve ritornare a svolgere il suo ruolo originario: ascoltare le proposte di chi vive da anni l’esperienza del carcere. Gli operatori del Terzo settore, noi Garanti, i volontari tutti, hanno acquisito una grande competenza e vogliamo metterla a disposizione della politica”.

Le proposte del garante regionale sono quelle di un piano per una formazione congiunta tra operatori dell’Amministrazione penitenziaria, magistrati di Sorveglianza, istituzione scolastica, istituzione sanitarie e Terzo Settore; iniziative per sostenere gli affetti dei detenuti, ricorrendo alla tecnologia per consentire i colloqui attraverso videochiamate (modalità sperimentata durante la pandemia); una mappa della giustizia riparativa per lavorare sulle esperienze positive e incrementarle. Inoltre, un intervento per garantire la territorialità della pena: “Ci sono 800 detenuti campani nelle carceri fuori regione. Come fanno a vivere la territorialità della pena che è un loro diritto? - dice il garante - Basterebbe cominciare da questo, assicurare ai detenuti la territorialità della pena con alcune eccezioni che pure possono esserci, ma si devono contare sulle dita di una mano, non è possibile che detenuti campani incensurati siano costretti a emigrare nelle carceri della Puglia, della Calabria”.

Serve una svolta. “La politica - chiosa il garante - deve trovare il coraggio di entrare in carcere: ognuno ha la possibilità di farlo per visite o ispezioni, ma quanti hanno mai visitato un istituto di pena? Quanti prima di proporre o votare una riforma hanno pensato di andare ad ascoltare detenuti, agenti, operatori tutti? Esiste un noi e un loro. Ascoltare storie, esperienze, disagi, ingiustizie, fa accorciare le distanze, ridurre l’indifferenza verso chi vive in una condizione di privazione della libertà personale. Il carcere esiste e riguarda tutti noi. In relazione al carcere, noi crediamo di essere vittime, ma se si continua a rimanere inermi, si finirà inevitabilmente per diventare complici”.