sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Sara Gandolfi

Corriere della Sera, 23 febbraio 2023

Nell’ex convitto sull’isola di Vancouver potrebbero essere sepolti centinaia di bambini nativi. I sopravvissuti raccontano di aborti forzati e piccole bare trasportate nottetempo. L’horror story delle scuole residenziali canadesi, gestite dalla Chiesa per “civilizzare gli indigeni”, non ha fine. La Prima Nazione di Tseshaht ha annunciato l’individuazione con i radar di 17 tombe sospette nel terreno dell’ex convitto di Port Alberni, sull’isola di Vancouver. Potrebbero contenere i corpi di decine di ex piccoli alunni.

È un drammatico “viaggio nella verità” cominciato anni fa e questa è solo l’ultima di una lunga serie di atroci scoperte. Oltre 150 mila bambini furono costretti a frequentare le scuole cristiane finanziate dallo Stato canadese, a partire dal XIX secolo, nel tentativo di isolarli dall’influenza culturale delle comunità native. Alcuni avevano appena 3-4 anni. Venivano trasferiti spesso a migliaia di chilometri di distanza dai genitori, a volte non li rivedevano più. Molti subirono abusi fisici e sessuali, migliaia non tornarono mai a casa. L’ultima delle 139 Residential Schools venne chiusa nel 1998. La maggior parte è stata da allora demolita.

Non quella di Port Alberni, in British Columbia. Bambini di almeno 90 comunità hanno frequentato la scuola, chiusa nel 1973. Secondo il geofisico Brian Whiting, che ha guidato le ricerche, le 17 tombe rilevate potrebbero essere soltanto la punta di un iceberg. I sopravvissuti hanno raccontato di aborti forzati, sepolture multiple, teschi e resti umani che affioravano dal terreno e piccole bare trasportate nottetempo fuori dall’edificio. Era uno dei sei centri residenziali canadesi in cui gli alunni venivano sottoposti ad esperimenti nutrizionali autorizzati dal governo senza il consenso dei genitori. E nel marzo 1995, l’ex supervisore del dormitorio scolastico si dichiarò colpevole di 18 “aggressioni indecenti”, avvenute tra il 1948 e il 1968. All’epoca aveva 77 anni e fu condannato a 11 anni di carcere. In quell’occasione, un giudice della Corte Suprema paragonò il sistema scolastico residenziale ad “una forma di pedofilia istituzionalizzata”.

L’obbiettivo dichiarato del patto fra Stato e Chiesa era assimilare e cristianizzare i bambini indigeni, definiti come “selvaggi”. Il governo canadese, dopo le scuse formali, ha istituito un fondo di compensazione da 1,9 miliardi di dollari e una Commissione per la verità e la riconciliazione, che ha ascoltato per sei anni le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti e identificato più di 4.000 bambini morti per malattie provocate da sovraffollamento, malnutrizione e scarsa igiene, o dopo aver subito abusi o aver tentato di scappare. Nel 2015, concluse che si trattò di un “genocidio culturale”.

Il tema delle fosse comuni è esploso nel maggio 2021, quando furono trovate oltre 200 tombe anonime sul terreno di un’ex scuola a Kamloops, in British Columbia. Alcune settimane dopo, altre 751 tombe affiorarono davanti alla Marieval Residential School nel Saskatchewan. Diverse chiese sono state poi vandalizzate, in migliaia hanno marciato rivendicando le scuse del Papa. Francesco ha finalmente visitato il Canada nel luglio scorso per quello che ha definito “un pellegrinaggio penitenziale”, durante il quale ha chiesto perdono “per il torto fatto da tanti cristiani ai popoli indigeni”.