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di Luigi Manconi

La Repubblica, 22 luglio 2022

È stata diffusa la relazione annuale sulle tossicodipendenze, nella quale il governo - ora al capolinea - chiede di favorire la depenalizzazione.

Alcune settimane fa è stata resa nota la relazione annuale sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia. Si tratta di un documento tecnico realizzato dal Dipartimento per le politiche antidroga per conto del Governo e presentata al Parlamento. Contiene le conclusioni elaborate durante la VI Conferenza nazionale sulle dipendenze, voluta dalla ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone e tenutasi a Genova nel novembre scorso. Un appuntamento che non veniva organizzato da oltre dodici anni e che vorrebbe dimostrare l’impegno da parte del Governo ad affrontare temi cruciali come quello delle tossicodipendenze e a immaginare nuovi interventi per contrastare la diffusione delle sostanze stupefacenti.

E qui - oh, sorpresa! - sbuca fuori qualcosa di decisamente imprevisto. Al punto 4 delle iniziative da promuovere è espressa chiaramente l’opportunità di “favorire la depenalizzazione, intesa come necessità di rivedere le norme che prevedono sanzioni penali e amministrative a carico di persone che usano droghe”. Si aggiunge che, dunque, è il caso di “rivedere la legge attuale passando dal modello repressivo a un modello di governo e regolazione sociale del fenomeno, al fine di sottrarre all’azione penale alcune condotte illecite, contemplate dall’art. 73, rivedendo, contestualmente l’impianto sanzionatorio ed escludendo l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza”. Si deve, pertanto, intervenire sull’art. 73 relativo alla produzione, alla detenzione e al traffico illecito delle sostanze stupefacenti, così da sottrarre all’azione penale sia la coltivazione di cannabis a uso domestico, sia la cessione di modeste quantità per uso di gruppo laddove non sia presente la finalità di profitto.

In effetti qualcosa di non troppo diverso da quanto contenuto nella proposta di legge relativa alla coltivazione domestica di cannabis, giunta alla discussione in Aula alla Camera dei deputati qualche settimana fa. Depenalizzare il consumo di questa sostanza significherebbe, tra le altre cose, accettare la realtà di un fenomeno non più reversibile: la cannabis è la sostanza illegale più utilizzata. In Italia, le stime più attendibili parlano di oltre sei milioni di consumatori, presenti in tutte le fasce sociali e in tutte le classi di età. E per affidarsi ai dati più recenti, basta leggere quelli riportati dalla stessa Relazione del Dipartimento per le politiche antidroga. Il 18% degli studenti italiani ha fatto uso di cannabis almeno una volta nel corso del 2021 e il 2,5% dichiara di farne un uso quasi quotidiano.

Oltre la metà dei consumatori ha avuto il primo contatto con questa sostanza fra i 15 e i 16 anni. E ancora, a proposito dell’utilizzo diffuso, il 72,8% delle sostanze menzionate nelle segnalazioni per violazione dell’art. 75 riguarda cannabis e derivati. E tra i giovanissimi fino ai 19 anni di età, senza distinzione di genere, la quasi totalità delle sostanze consumate è rappresentata dai cannabinoidi, così come oltre il 50% di quelle usate tra le persone fino ai 34 anni. Infine, il dato più significativo e per certi versi dirompente: tra quei consumatori, il 91% fa ricorso esclusivamente a derivati della cannabis. In altre parole, la cannabis è pressoché l’unica sostanza illegale utilizzata. Un dato che, d’un colpo solo, fa giustizia di tutte le amenità che si continuano a sentire a proposito dell’automatismo del passaggio “dalle canne alla coca”: e della consequenzialità tra il consumo delle prime e il consumo della seconda. Ce lo dice il Governo.