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di Marco Grimaldi

L’Unità, 4 settembre 2023

Non solo tra i braccianti. Anche teriario poverissimo. Il caporalato oggi prospera e insieme allo sfruttamento si estende ad altri settori. Un piccolo viaggio tra i facchini, vigilantes e finte coop. Un’epopea che si rispetti si svolge lungo un esteso arco temporale e una mappa geografica vasta e variegata. Il nuovo caporalato sta assumendo queste caratteristiche. I settori che arriva a toccare sono i più diversi: dall’agricoltura alla logistica, dai servizi di pulizia al mondo della vigilanza e dei servizi fiduciari. Periodizzare è sempre un gesto convenzionale in storiografia. Si fa per segnare dei passaggi epocali, ma non si tratta mai di cesure nette.

La rivolta di Rosarno potrebbe essere considerata, con questa cautela, il momento in cui è emersa la consistenza di una nuova stagione del caporalato in Italia. Là nella Piana di Gioia Tauro, nel Sud della Calabria, già dai primi anni Novanta lavoratori migranti venivano impiegati nella raccolta di agrumi e olive. Le loro condizioni di vita e di lavoro diventeranno man mano più drammatiche. Ma è nel pomeriggio del 7 gennaio 2010 che quella realtà esplode, con i colpi di arma da fuoco che feriscono due braccianti di origine africana di ritorno dai campi. I migranti reagiscono uscendo dalle fabbriche abbandonate e vandalizzando automobili e cassonetti.

La popolazione reagisce con due giorni di pestaggi e “caccia al negro”. Almeno da allora nessuno può negare di sapere che i caporali sono tornati. Nella filiera del cibo da Foggia a Salerno, da Campobello di Mazara a Saluzzo. Si aprono nuove inchieste. Si scrivono nuove leggi, si firmano protocolli. Eppure, non solo le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti migranti non sembrano migliorare, ma oggi il caporalato prospera e si estende ad altri settori del mondo del lavoro. Le forme contemporanee di schiavitù in Italia si diversificano, lo sfruttamento e i salari da fame dilagano. Reclutamento di manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, a prescindere da come sia organizzata l’attività di reclutamento e intermediazione. Uguali sanzioni previste per chi recluta e per il datore, innalzamento delle pene se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia. Le cause giudiziarie che ipotizzano queste fattispecie di reato sono sempre di più e coinvolgono i lavoratori più diversi.

Dal caporalato digitale, a quello contestato al mobilificio Mondo Convenienza ai danni di facchini e montatori. Dalle condanne a titolari di cooperative che si facevano pagare il pizzo dalle addette alle pulizie, alle inchieste che riguardano il mondo della vigilanza e dei servizi fiduciari. Nei casi più gravi, i lavoratori subiscono minacce e violenze anche fisiche. Esiste un terziario povero, che include i settori merceologici di servizi, pulizie, consegne, accoglienza, vigilanza, ristorazione, accoglienza, e sta diventando terreno di coltura di questo genere di abusi. Ambiti “labour intensive” dove vige la logica del massimo ribasso per la massima competitività.

Un sistema fatto di esternalizzazioni, appalti, subappalti, finte cooperative, dove la contrattazione collettiva non ha più la forza di imporre minimi salariali equi. Perché la contrattazione non è autosufficiente e va sostenuta con altri strumenti? Perché esiste una concorrenza al ribasso tra contratti collettivi, proliferati negli ultimi decenni anche sulla stessa categoria merceologica, non essendoci alcun vincolo all’applicazione di un particolare contratto collettivo. Perché la proliferazione può significare applicazione di contratti “pirata”, ma anche di contratti collettivi di categorie diverse da quelle in cui si lavora, per abbassare il costo del lavoro.

Ho cercato di fare luce su alcune porzioni dell’universo del nuovo caporalato, di raccontare quante costellazioni lo compongono, ma anche quante persone e situazioni potrebbero trarre beneficio dall’introduzione di un salario minimo legale e di tante altre norme necessarie a tutelare la dignità di chi lavora. Finalmente in questa torrida estate infiamma il dibattitto sul salario, ma questa terra è in fiamme da tempo come chi lavora e rimane troppo povero, perché “a fine stipendio manca ancora troppo mese”.