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di Paolo Fallai

Corriere della Sera, 23 settembre 2023

Il termine è entrato nel primo dizionario nel 1978, dopo 36 anni è stata varata una legge per contrastare l’intermediazione illegale e lo sfruttamento lavorativo. Ora il fenomeno è diventato nazionale e, paradossalmente, quasi non fa più notizia. Fa un certo effetto leggere le notizie sull’ennesima operazione della Guardia di Finanza contro il caporalato in Puglia, che ha scoperto nel Foggiano decine di braccianti sfruttati. Non perché l’operazione sia una novità in sé, visto il meritorio impegno di Finanza e magistratura contro questo orribile fenomeno criminale.

Uno dei primi dizionari italiani ad accogliere la voce “caporalato” per indicare lo sfruttamento illegale della manodopera agricola, è stato il Sabatini-Coletti, nel 1978. Solo due anni dopo dovette scoprirla tutta l’informazione, nel riferire le sconvolgenti notizie provenienti proprio dalla Puglia: il 19 maggio 1980 tre ragazze di Ceglie Messapica morirono in un pulmino dei caporali. Si chiamavano Pompea Argentiero, Lucia Altavilla e Donata Lombardi. Avevano 16, 17 e 23 anni. Si erano alzate alle 3 del mattino per andare a raccogliere le fragole.

L’emozione e la rabbia per quelle vittime non si fermarono ai confini della Puglia. Tutto il Paese scoprì quello che le campagne meridionali conoscevano bene. Anche l’arroganza degli sfruttatori: il 17 luglio, durante una manifestazione, alcuni caporali tentarono di investire lavoratori e sindacalisti a Villa Castelli a pochi chilometri da Ceglie. Quattro giorni dopo otto caporali armati di pistola aggredirono i sindacalisti della Cgil e assaltarono la sede del sindacato.

Ci sono voluti 36 anni perché l’Italia avesse una legge per contrastare l’intermediazione illegale e lo sfruttamento lavorativo e offrire uno strumento alla repressione. Ma nel frattempo, il fenomeno è diventato nazionale e gli sfruttati hanno preso tutti i colori del mondo potendo contare sull’inesauribile bacino del l’immigrazione senza documenti. Fa effetto leggere oggi una notizia sul caporalato proprio perché non è quasi più una notizia, nella sua desolante “normalità” e rischiamo di non accorgercene più.