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di Gian Domenico Caiazza

Il Riformista, 24 febbraio 2024

L’emergenza drammatica delle carceri italiane suggerisce - per quanto possibile - di liberare il tema dagli schemi rigidi delle contrapposizioni ideologiche, alla doverosa ricerca di soluzioni pragmatiche e concretamente perseguibili. Avviare un percorso di riforme che, senza la pretesa di impossibili abiure o palingenesi culturali sulle contrapposte idee della pena, porti fuori le nostre carceri dalle sabbie mobili di una incombente tragedia, è ragionevolmente possibile. Certo, bisogna sgombrare il campo dalle finte soluzioni.

Comunque la si pensi nel merito, è chiaro a qualunque persona intellettualmente onesta che le illusorie fumisterie sulla edificazione di nuove carceri, o sul riadattamento di qualche caserma, non potrebbero mai essere una plausibile soluzione. A prescindere dalle scarse risorse finanziarie disponibili (anche per il nuovo personale penitenziario che si imporrebbe come indispensabile), la natura puramente propagandistica di questa soluzione è evidente solo se si pensi ai tempi della sua realizzazione, ed ai numeri comunque irrilevanti che essa sarebbe in grado di produrre. Insomma, nuove carceri - tra molti anni e tanti denari - per sei o settecento posti in più, a fronte di un overbooking attuale di diecimila detenuti, possono mai essere una risposta credibile?

Sappiamo invece che solo qualche anno fa si concluse la straordinaria esperienza degli Stati Generali della esecuzione penale, della quale furono artefici e protagonisti tutti, ma davvero tutti gli attori del complesso mondo penitenziario: magistratura, avvocatura, direttori delle carceri, personale amministrativo, polizia penitenziaria, assistenti sociali, educatori, personale sanitario. Una comunità - non un partito o una maggioranza politica - consapevole della natura dei problemi, e della efficacia delle possibili soluzioni. Aggiungo che nessuno può rivendicare un marchio politico a quella esperienza perché, se fu il Ministro Orlando a meritoriamente volerla, fu ancora lui, il suo partito e la sua maggioranza a buttarla a mare nell’ultimo miglio, nel poco onorevole timore di una debacle elettorale di fronte alla grancassa di chi la additava come “svuota-carceri”. Quella straordinaria esperienza produsse non generiche idee riformatrici o buoni propositi, ma testi normativi e regolamentari “chiavi in mano”, pronti all’uso. E si concretizzò (anche) nel disegno di un sistema di pene certamente alternative al carcere, ma finalmente dotate di efficacia, rigore e comunque indispensabile afflittività, insomma autenticamente in grado di investire con la necessaria severità e serietà sul percorso di recupero sociale del condannato.

Di fronte al quadro desolante, incivile e drammatico delle nostre carceri, ignorare sdegnosamente questo autentico patrimonio di conoscenza, di esperienze concrete e di soluzioni affidabili solo perché sarebbe marchiato dalla matrice politica dello stesso Governo che, dopo averlo meritoriamente promosso, indecorosamente finì per rinnegarlo, è davvero un incredibile atto di insipienza e di irresponsabilità politica. Di questo, anche di questo, PQM si occupa questa settimana. Buona lettura.