di Antonio Maria Mira
Avvenire, 24 agosto 2024
A fronte di 61mila detenuti in carcere, molti di più, quasi 84mila beneficiano di misure alternative. Un numero in fortissimo aumento. Nel 2012 erano, infatti, solo 25.500 e quindi in dodici anni c’è stato un incremento del 228 per cento. Con risultati sicuramente positivi. Ad esempio, per la misura della sospensione del procedimento con messa alla prova, il numero dei casi è passato da 34.931 del 2020 a 55.534 del 2023, registrando un incremento del 59% (+76% al Sud, +65% al Centro, +48% al Nord). Mentre le revoche della misura sono arrivate appena all’1,8% del totale. Lo scrive il ministero della Giustizia nella Relazione inviata al Parlamento “sull’attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova e di pene sostitutive delle pene detentive, nonché sullo stato generale dell’esecuzione penale esterna”.
Ma chi beneficia di queste misure alternative al carcere? Si tratta di soggetti di giovane età (il 25% degli imputati ha un’età compresa fra i 18 e i 29 anni, il 23% fra i 30 e i 39, il 22% tra 40 e 49 anni, ma c’è anche un 11% di ultrasessantenni), di sesso maschile (85%), di cittadinanza italiana (82%), imputati coinvolti in attività lavorativa non retribuita di tipo socioassistenziale e sociosanitaria (64%). Qui il ministero fa un’importante affermazione: “Dall’analisi dei dati emerge che l’imputato ammesso all’istituto, nella maggior parte dei casi, non è ancora avviato al processo deviante; pertanto, l’ammissione alla messa alla prova, e la conseguente presa in carico da parte degli Uepe (Uffici per l’esecuzione penale esterna, ndr), può effettivamente svolgere una funzione di prevenzione della devianza, prevalentemente nei confronti di persone italiane di giovane età, con un’occupazione stabile e imputate per un reato di lieve entità, frequentemente legato alla violazione del codice della strada”.
Insomma, non si tratta di criminali ma di persone che il carcere potrebbe far peggiorare. E le misure alternative non sono dunque solo degli “svuota carcere” ma dei provvedimenti per salvare le persone, per recuperarle, come prevede la nostra Costituzione. Particolarmente importanti, proprio in questo senso sono i lavori di pubblica utilità. Attualmente il ministero ha in corso 13 convenzioni nazionali con enti, associazioni e istituzioni che rendono disponibili 2.496 posti. Sono poi stati firmati 18 protocolli nazionali tesi a pervenire localmente alla stipula di convenzioni per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità da parte dei tribunali.
Ad oggi le convenzioni stipulate sono ben 11.827, distribuite uniformemente su tutto il territorio nazionale. L’attività riguarda la tutela del patrimonio ambientale, quella del patrimonio culturale, storico e artistico, la promozione della sicurezza stradale, i servizi di supporto in attività socio assistenziali e socio-sanitarie, la Protezione civile, i servizi inerenti a specifiche competenze o professionalità, la manutenzione degli immobili e i servizi pubblici. Con la riforma Cartabia, per la sua applicazione nel 2023 sono stati siglati 38 protocolli operativi.
“Il lavoro di pubblica utilità previsto quale pena sostitutiva in caso di condanna a pena detentiva non superiore a tre anni - si legge nella Relazione - sta dando sicuramente buona prova di sé, con un totale di 2.244 condannati che, al 31 marzo 2024, risultavano in carico agli Uepe, registrando un incremento del 50% rispetto al dato riferito al 31 dicembre 2023 (1.503)”. A questi vanno poi aggiunti i quasi 9.500 lavori di pubblica utilità per violazioni del Codice della strada (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) e quasi 900 per violazioni della legge sugli stupefacenti. Ma i buoni risultati raggiunti non bastano.
Così, per il Ministero, “appare di fondamentale importanza proseguire con un rigoroso lavoro sul territorio, mediante la costruzione di accordi e la sottoscrizione di protocolli per l’inclusione sociale delle persone in esecuzione penale esterna, oltre a fortificare l’attività di collaborazione al trattamento penitenziario, al fine di implementare il numero dei detenuti che accedono alle misure alternative”. Le soluzioni dunque ci sono, bisogna insistere. È l’invito al Parlamento degli esperti del Ministero.