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di Errico Novi

Il Dubbio, 2 febbraio 2024

Colloquio tra Mattarella e il capo del Dap sui suicidi in cella, ma il guardasiglli boccia le misure alternative: “Evocano impunità”. Tardo pomeriggio di ieri. Sergio Mattarella riceve per la prima volta Giovanni Russo, da pochi giorni a capo del Dap, cioè delle carceri italiane. Il presidente della Repubblica esprime la preoccupazione, più che legittima, per due questioni quasi sovrapponibili tra loro: il sovraffollamento delle carceri, ormai al 117%, con oltre 63 mila detenuti su 51mila posti “virtuali” (in realtà sono puree meno), e la spoon river, indegna di un Paese civile, dei reclusi che si tolgono la vita, e che nel primo mese dell’anno sono stati 13. Una cadenza che, proiettata sull’intero 2024, produrrebbe un record di morti in cella finora sconosciuto persino al nostro claudicante sistema giustizia.

Il Quirinale evita l’enfasi. Nella nota diffusa ieri sera si limita a dar notizia dell’incontro senza dettagli. Ma è certo che Mattarella ha voluto approfondire lo stato del sistema carcerario ora che gli appare in grave difficoltà. Bene: sarebbe stato legittimo aspettarsi dal governo un riscontro. Una risposta a stretto giro. Ma la prontezza di riflessi non c’è. O meglio: l’Esecutivo, attraverso il guardasigilli Carlo Nordio, dà l’impressione di giocare in difesa. Di voler quasi congelare la questione. Il ministro parla, nella mattinata di oggi, al carcere di Civitavecchia, all’incontro sul programma “Scuola esercizio di libertà”, realizzato in accordo con la Rai.

“Questo dev’essere l’inizio di un itinerario di libertà intellettuale prima che arrivi quella fisica: la tecnologia”, dice Nordio, “può essere pericolosa, ma anche utilissima, e in questo caso è di un’utilità assoluta”. E fin qui tutto in perfetta sintonia con la “risocializzazione” del condannato, su cui il titolare della Giustizia (nella cui competenza rientra, ovviamente, anche il Dap) tornerà un minuto dopo. Ma prima c’è la strettoia che denuncia tutta l’esitazione del governo sul nodo carcere. E anche sulla tragedia dei suicidi: “Il carcere è un male necessario: ci sono situazioni in cui non ci sono alternative al carcere”. E quali? Il ministro resta nel vago: “Noi lavoriamo per una deflazione della popolazione detenuta, ma anche questo è oggetto di polemiche: molti non possono essere sottoposti a detenzioni alternative”.

Non possono in che senso? Il significato della frase resta in sospeso. Ma l’impressione che si tratti di un pregiudizio politico è accresciuta dall’esempio successivo: “Ci sono state accese polemiche per quella persona che ha ricevuto una condanna a 4 anni per un omicidio colposo stradale ed è stata sottoposta agli arresti domiciliari: bisogna sempre pensare anche all’allarme sociale che viene determinato da questi reati e alla disperazione delle vittime o dei parenti che vedono una sorta di impunità da parte di chi commette i reati”.

E perché mai bisognerebbe bypassare la Costituzione? D’accordo sulle umanamente rispettabilissime istanze delle vittime e dei loro familiari. Ma qui il vero giudice da cui cui si vuol mettere al riparo sembra piuttosto l’opinione pubblica diffusa. Si teme l’invocazione forcaiola che proviene da chi non è affatto coinvolto dalle vicende penali. Il ministro della Giustizia scioglie l’equivoco con il tipico slogan di Fratelli d’Italia, partito che d’altronde l’ha voluto prima a Montecitorio e poi a via Arenula: “Noi siamo molto garantisti sull’enfatizzazione della presunzione d’innocenza prima del processo ma anche sull’applicazione certa della pena dopo la condanna”.

Difficile pronosticare quale potrà essere, sul carcere, la rotta dell’Esecutivo nelle prossime settimane. Il guardasigilli fornisce altri indizi poco rassicuranti nel pomeriggio, al question time nell’aula di Palazzo Madama (di cui si dà più ampiamente conto in altro servizio, nda). Ammette sì che è irrazionale affidarsi alla prospettiva della “costruzione di nuove carceri” e alle ormai mitologiche “caserme dismesse da riutilizzare”.

Riconosce che non è possibile attendere i tempi necessari per edificare nuovi spazi di detenzione. Ma allora, come se ne esce? Quali sarebbero le scelte deflattive? L’unica su cui Nordio si sbilancia è la riduzione della carcerazione preventiva, che dovrebbe discendere dalla riforma del cosiddetto gip collegiale, cioè dall’assegnazione a una corte di tre magistrati, anziché a un giudice monocratico, delle decisioni sulle richieste di custodia cautelare. Peccato si tratti dell’unico capitolo “a entrata in vigore differita” del ddl penale, che comunque non è stato neppure approvato in prima lettura. Il “gip collegiale” non sarà in funzione prima di due anni: intanto le sezioni dei Tribunali dovranno essere rimpolpate con nuovi concorsi in magistratura.

Di fatto dunque Nordio non raccoglie il segnale lanciato da Mattarella. Gioca in difesa. Nessun accenno al trasferimento in comunità dei detenuti con tossicodipendenze, proposto peraltro dall’anima più securitaria della squadra di via Arenula, il sottosegretario di FdI Andrea Delmastro. Una sospensione da agnostici dinanzi all’impennata di detenuti e di suicidi. È vero, ci sono le Europee. Ma pensare di arrivarci con un centinaio di persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre non è il massimo dello spot elettorale.