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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 28 giugno 2024

Il drammatico bilancio sale a 47. Ieri un detenuto si è impiccato a Caltanissetta e uno a Novara, mentre oggi un egiziano si è tolto la vita a Marassi. Nel cuore dell’estate 2024, mentre l’Italia si prepara alle vacanze, un’ombra inquietante continua ad allungarsi sulle strutture penitenziarie del paese. Nelle ultime 48 ore, tre nuovi casi hanno portato il bilancio dei detenuti che si sono tolti la vita nel 2024 a 47, un numero che fa inorridire e che sembra destinato a crescere.

Come segnalato da Vicente Santilli, segretario per il Piemonte del Sindacato Autonomo polizia penitenziaria, verso le undici e mezza del mattino di mercoledì scorso 26 giugno, nel carcere di Novara, durante il passaggio del vitto, in cella è stato trovato un detenuto impiccato alle sbarre della finestra del bagno. Nello stesso istituto, sette giorni prima, si è ucciso Alì, un 19enne che sarebbe tornato libero il prossimo agosto. Sempre mercoledì, su segnalazione di Gennarino De Fazio, Segretario Generale della Uilpa polizia penitenziaria, un detenuto si è impiccato nella Casa Circondariale di Caltanissetta. Aveva 38 anni ed era considerato un detenuto modello e non aveva mai dato alcun problema. Stava facendo un percorso di riabilitazione in carcere e lavorava in cucina. Un gesto dunque totalmente inaspettato e del quale non si conoscono le motivazioni. Appena un giorno dopo, giovedì 27, un cittadino egiziano di 47 anni si è tolto la vita nel carcere genovese di Marassi, utilizzando la propria cintura. Quest’ultimo, che avrebbe finito di scontare la sua pena per immigrazione clandestina nel 2025, ha deciso di porre fine alla sua esistenza nelle prime ore del mattino, nonostante i tempestivi ma vani soccorsi della Polizia penitenziaria e del personale sanitario. Da osservare che nello stesso carcere, esattamente il giorno prima della tragedia, è stato rinvenuto il cadavere di un detenuto. Si tratta di un uomo italiano, 30 anni non ancora compiuti, morto dopo aver inalato gas dal fornello da campeggio. Ancora non è chiaro se si sia trattato di un suicidio o delle conseguenze dell’assunzione di sostanze stupefacenti.

I dati aggiornati ad oggi rivelano una realtà allarmante: dall’inizio dell’anno, 105 detenuti hanno perso la vita dietro le sbarre, di cui 47 per suicidio. Questi numeri non sono solo statistiche fredde, ma rappresentano vite umane spezzate, famiglie distrutte e un sistema carcerario in profonda crisi. Il tasso di suicidi nelle carceri italiane continua a essere significativamente più alto rispetto alla popolazione del “mondo di fuori”, sollevando interrogativi urgenti sulla gestione della salute mentale e sulle condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari. Particolarmente preoccupante è il confronto con gli anni precedenti. Nel 2023, l’intero anno ha visto 69 suicidi. A metà del 2024, siamo già a 47. Se questa tendenza dovesse continuare, potremmo assistere a un aumento drammatico rispetto agli anni precedenti.

Ma i suicidi sono solo la punta dell’iceberg: altri 58 detenuti sono morti per cause diverse, tra cui malattie, overdose e circostanze ancora da accertare. Questo evidenzia una crisi più ampia nel sistema sanitario carcerario, con strutture sovraffollate e personale medico insufficiente. Un caso emblematico è rappresentato dal suicidio avvenuto nel Centro di Permanenza per i Rimpatri (Cpr) di Roma, che solleva ulteriori domande sulle condizioni di vita in queste strutture controverse.

Dal 2000 ad oggi, il numero totale di detenuti morti in carcere ha raggiunto la cifra spaventosa di 4.718, di cui 1.771 per suicidio. Questi dati sottolineano una crisi sistemica che perdura da decenni, nonostante le ripetute promesse di riforma e miglioramento. Le cause di questa situazione sono molteplici: sovraffollamento cronico, carenza di personale specializzato, insufficienza di programmi di reinserimento e supporto psicologico inadeguato. Oltre al fatto, come riportato da Il Dubbio, che i suicidi avvengono per stragrande maggioranza dei casi nei regimi a custodia chiusa.

Il decreto carcere in arrivo, ma insufficiente - Il sistema carcerario italiano sta attraversando una crisi senza precedenti, con un bilancio di vite umane che cresce di settimana in settimana. Di fronte a questa emergenza, le misure proposte dal governo appaiono come palliativi insufficienti per affrontare un problema di proporzioni sistemiche. Attualmente, le prigioni italiane ospitano oltre 61.000 persone, superando di 13.500 unità la loro capacità effettiva. Questa situazione di sovraffollamento cronico è il terreno fertile su cui proliferano disperazione, violenza e, tragicamente, suicidi. Le proposte del Ministero della Giustizia, seppur ben intenzionate, sembrano non cogliere la gravità e l’urgenza della situazione. L’istituzione di un albo per le comunità del terzo settore, che permetterebbe ai detenuti con pene residue inferiori ai due anni di scontarle in regime di detenzione domiciliare o affidamento in prova, è un passo nella giusta direzione. Tuttavia, questa misura rischia di avere un impatto limitato, considerando che molti detenuti non hanno una dimora o una rete di supporto all’esterno.

Allo stesso modo, l’incremento delle telefonate concesse ai detenuti da quattro a sei al mese, seppur necessario e doveroso per il mantenimento dei legami familiari, non può bastare. Le proposte per una gestione più rapida delle ordinanze di custodia cautelare, invece, potrebbero avere un effetto più significativo, ma i tempi di implementazione rischiano di essere troppo lunghi di fronte all’emergenza in corso.

In questo contesto, emerge come potenzialmente risolutiva la proposta di legge presentata dal deputato Roberto Giachetti e dall’associazione Nessuno Tocchi Caino. Questa iniziativa, incentrata sulla liberazione anticipata speciale, potrebbe offrire un immediato sollievo al sovraffollamento carcerario. La proposta prevede un aumento significativo dello sconto di pena per buona condotta, passando dagli attuali 45 giorni a 60 giorni per ogni semestre di detenzione. Una misura del genere potrebbe avere un impatto rapido e sostanziale, riducendo in tempi brevi la popolazione carceraria e alleviando la pressione sul sistema.

La liberazione anticipata speciale non è solo una soluzione al sovraffollamento, ma rappresenta anche un incentivo concreto per i detenuti a mantenere una buona condotta e a impegnarsi in percorsi di riabilitazione. Questo approccio potrebbe contribuire a creare un ambiente carcerario più sicuro e costruttivo, riducendo tensioni e conflitti. Inoltre, questa proposta si allinea con i principi costituzionali della funzione rieducativa della pena e del rispetto della dignità umana. In un momento in cui il sistema carcerario italiano è sotto scrutinio per le sue condizioni disumane e degradanti, un’azione decisa in questa direzione potrebbe segnare un punto di svolta.

Le critiche a questa proposta, che la dipingono come un “indulto mascherato”, non solo sono completamente fuorvianti ma sembrano ignorare la realtà di un sistema al collasso e la necessità di interventi immediati per salvare vite umane. La sicurezza pubblica non è garantita da carceri sovraffollate e disfunzionali, ma da un sistema che promuove effettivamente il reinserimento e la riabilitazione. Mentre le misure proposte dal governo rappresentano un timido passo avanti, la gravità della situazione richiede azioni più coraggiose e immediate. La proposta di liberazione anticipata speciale merita una seria considerazione come strumento per affrontare l’emergenza attuale e gettare le basi per una riforma più ampia e strutturale del sistema penitenziario italiano. Solo attraverso un approccio audace e umano si potrà sperare di porre fine alla spirale di morte che affligge le nostre carceri e di restituire al sistema penitenziario la sua funzione costituzionale di rieducazione e reinserimento sociale. Il 17 luglio sarà il giorno in cui il Parlamento voterà la proposta di legge. Come già riportato su Il Dubbio, quel giorno Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, riprenderà lo sciopero totale della sete e fame. L’opposizione, tranne il M5S, voterà a favore. Si spera che anche la maggioranza faccia un atto di umanità. Potrebbe essere una delle rare volte che tutto il Parlamento, tranne casi isolati, si assume una responsabilità che magari non porta più voti, ma salva vite e ci mette al riparo da future condanne da parte della Corte europea.