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di Fulvio Fulvi

Avvenire, 10 gennaio 2024

Le vittime erano giovani, rispettivamente di 23 e 27 anni. E negli istituti di pena sovraffollati è emergenza servizi sanitari, in particolare per quanto riguarda le cure psichiatriche. Mentre cresce ancora il numero dei detenuti, erano 60.166 il 31 dicembre 2023 (più 150 in un mese), nelle sovraffollate carceri italiane si fa sempre più critica anche la carenza dei servizi di sanità e dell’assistenza a chi necessita di cure mediche. Nella Casa circondariale “Carmelo Magli” di Taranto, per esempio, i reclusi non riescono a ottenere dall’infermeria nemmeno farmaci da banco come antipiretici e antidolorifici e sono costretti a farseli portare durante i colloqui dalle mamme e dalle mogli che ne hanno fatto richiesta alla direzione del penitenziario.

A fronte di una popolazione carceraria di circa 900 persone (su una capienza regolamentare di 500), inoltre, mancano medici e infermieri. “E sono quasi inesistenti figure come lo psichiatra, al quale forse è possibile ricorrere, per qualcuno, una volta al mese, nonostante la maggior parte di loro prenda gocce per dormire, un uso che andrebbe controllato” denuncia Anna Briganti, dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”. Anche il Sappe, sindacato autonomo degli agenti penitenziari, lamenta la carenza di personale sanitario al “Magli” e invoca l’intervento del prefetto: le proteste dei detenuti sono aumentate negli ultimi giorni e c’è molta tensione, con continue aggressioni e tentativi di rivolta. “Ancora una volta i buoni intenti fanno a pugni con la dura realtà che si sta vivendo nelle carceri a partire da Taranto, ove il diritto alla salute sembra essere calpestato sempre di più - afferma Federico Pilagatti, segretario regionale del Sappe Puglia - infatti da un po’ di tempo niente visite mediche di routine ai detenuti ma solo emergenze poiché non ci sarebbero più medici, per cui il dirigente sanitario che è rimasto solo, sarebbe costretto a fare di tutto e di più”.

Una carenza, quella delle cure psichiatriche, comune a molte altre strutture carcerarie, dove la presenza di internati che fanno uso di stupefacenti sfiora il 60% e non si contano i ristretti con disturbi psichici, prova ne è l’aumento dei suicidi dietro le sbarre. Come quello di Stefano Voltolina, 27 anni, di Chioggia, impiccatosi lunedì sera al Due Palazzi di Padova. Un giovane che frequentava la biblioteca del carcere, amava la filosofia e scriveva poesie d’amore. Era recluso perché condannato per violenza e resistenza personale, sarebbe uscito nel giugno del 2028. Sin da ragazzo Stefano aveva manifestato un disagio e trascorse un periodo in una casa-famiglia. Ma non era, secondo le autorità del penitenziario, un soggetto a rischio suicidio.

E anche gli altri due decessi dentro le patrie galere in questi primi dieci giorni di gennaio confermano questa ulteriore, grave, emergenza. Matteo Concetti, il 23enne originario di Fermo che il 5 gennaio si è tolto la vita con un lenzuolo stretto attorno al collo nel bagno di una cella di isolamento del carcere anconetano di Montacuto, soffriva di una patologia psichiatrica accertata (era bipolare) e non poteva - anzi, non doveva - essere rinchiuso da solo in una stanza (provvedimento adottato perché aveva aggredito un agente) ma curato con una terapia farmacologica e ammesso agli arresti domiciliari oppure trasferito in una “Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza”, che ad Ancona però non esiste. Sono solo una trentina i Rems in Italia, con poco meno di 600 posti disponibili.

Sulla vicenda di Matteo - che era finito dentro per aver commesso reati contro il patrimonio e che sarebbe uscito fra otto mesi - la procura dorica, attraverso il pm Marco Pucilli, su denuncia della mamma del detenuto, ha aperto un fascicolo per “istigazione al suicidio” e disposto l’esame necroscopico sul cadavere.

A Napoli invece si indaga sul sospetto omicidio, nel carcere di Poggioreale, di Alexandro Esposito, 33 anni, tossicodipendente, di Secondigliano che, anche lui alla vigilia dell’Epifania è stato rinvenuto esanime in uno stato di “rigor mortis” su una barella davanti all’infermeria. I primi riscontri medico-legali sul cadavere parlano di “materiale scuro liquido che fuorisciva dal cavo orale”. Disposta l’autopsia che chiarirà, si spera, tutti i dubbi. Anche lui, come gli altri due giovani detenuti, poteva essere salvato?