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di Daria Bignardi

Vanity Fair, 14 febbraio 2024

Sovraffollamento, condizioni sanitarie precarie, maltrattamenti. Invece di cercare misure alternative, si inaspriscono le pene. E in carcere soffrono tutti. “È stato un lungo momento di terrore puro. Non riesco più a dormire ripensando a quanta paura ho avuto di morire, e a tutta quella forza e violenza usata nei miei confronti mentre ero a terra ammanettato”. Sono le parole messe a verbale dalla vittima dei maltrattamenti nel carcere di Reggio Emilia mostrati dall’Ansa. Il detenuto ha una maglietta gialla e la testa stretta in una federa bianca, viene trascinato da un gruppo di agenti penitenziari che lo colpiscono mentre è in piedi e poi a terra. Qualcuno gli stringe la federa intorno al collo. Viene buttato in cella senza più pantaloni. È un cittadino tunisino di 43 anni, condannato per reati legati allo spaccio a una pena di tre anni. La mattina dopo ha chiamato il suo avvocato Luca Sebastiani e gli ha raccontato tutto. La Procura di Reggio Emilia è intervenuta per mettere al sicuro il contenuto delle telecamere del carcere.

“Altrimenti lo avremmo perso”, ha detto Sebastiani. Come è successo nel carcere di Modena, dove nelle rivolte di marzo 2020 sono morti nove detenuti: senza immagini quelle indagini sono state archiviate. Il problema è il solito: si parla di “isolare le mele marce”, ma il problema è strutturale. Il problema è il carcere. Sovraffollato, inutile, pieno zeppo di gente malata, povera, tossicodipendente. Invece di cercare misure alternative, si inaspriscono le pene. In carcere soffrono tutti, anche gli agenti. Impotenza e frustrazione generano rabbia e inciviltà.

Nell’ultimo anno il numero dei detenuti in Italia è arrivato a 60.000. I posti sono 50.000. Nella metà delle celle, disumane, sovraffollate, non hanno neanche l’acqua calda. E il 2024 è cominciato malissimo: a inizio febbraio i morti erano già 36, di cui 16 suicidi accertati e 20 morti per altre cause. La detenzione spesso distrugge anche le relazioni famigliari. Adesso la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario che, in materia di colloqui intimi, imponeva il controllo a vista. In teoria, un passo a favore dei diritti del detenuto. Una goccia nel mare, ma un segnale positivo, almeno quello.