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di Paolo Pandolfini

Il Riformista, 25 gennaio 2024

Dall’inizio dell’anno sono infatti già 10 i detenuti che si sono tolti la vita. Un numero elevatissimo considerando che nel 2023 i suicidi erano stati complessivamente 68. Il 2024 è iniziato nel modo peggiore nelle carceri italiane. Dall’inizio dell’anno sono infatti già 10 i detenuti che si sono tolti la vita. Un numero elevatissimo, considerando che nel 2023 i suicidi erano stati complessivamente 68, che non può non obbligare ad una seria riflessione da parte di tutti gli operatori del settore.

Per il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, David Lazzari, “la complessità del suicidio rende necessario un lavoro di staff che male si fa con chi è presente poco in termini di ore e di visibilità e, inoltre, per provare a incidere sulle molteplici cause di fatti così gravi è necessario saper leggere il contesto per agire anche con e sull’organizzazione”.

Il primo problema che affligge le carceri italiane è certamente il sovraffollamento. Al 31 dicembre 2023 nei 189 istituti penitenziari, stando ai dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), a fronte di una capienza da 51.179 detenuti ne risultavano 60.166, fra cui 2.541 donne, alcune di loro in cella anche con proprio il figlio. Secondo il Garante nazionale l’indice di sovraffollamento sarebbe del 127,54 per cento, con punte del 232,1 per cento a San Vittore a Milano. In 15mila sono poi in carcere senza scontare una condanna definitiva, e circa 10mila addirittura in attesa del primo grado di giudizio. Secondo numerosi studi, l’aumento delle opportunità di comunicazione e dei legami con l’esterno non solo renderebbe più sopportabile la vita all’interno delle carceri, ma contribuirebbe anche a prevenire almeno alcuni dei numerosi suicidi che avvengono nelle strutture detentive.

L’articolo 15 dell’ordinamento penitenziario prevede che il trattamento del condannato e dell’internato debba agevolare opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia. Oggi il limite è di una telefonata settimanale della durata di dieci minuti e sei ore di colloquio al mese. Durante il periodo dell’emergenza sanitaria, per mantenere i detenuti più sereni e per favorire i loro legami affettivi, erano state autorizzate videochiamate e telefonate quotidiane. Tale positiva iniziativa aveva permesso alle persone detenute di chiamare casa più spesso e di ‘rivedere’ così le famiglie.

Come da più parti sottolineato, il mantenimento della possibilità di effettuare videochiamate e telefonate quotidiane sarebbe anche adesso di grande sollievo. È di tutta evidenza che queste forme di comunicazione consentono ai detenuti di mantenere i legami con i propri affetti, di sentirsi meno isolati, e di ricevere sostegno emotivo dall’esterno. Indispensabile per chi si trova ristretto in una cella. Tesi accolta anche dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale nelle scorse settimane ha invitato a cercare un bilanciamento fra le esigenze di sicurezza e l’abbondante numero di detenuti, fornendo regole chiare per le telefonate. In questo scenario si inserisce poi il diritto del detenuto di conferire con il proprio difensore, un diritto inviolabile e che non può essere compresso dalla detenzione, a meno che non siano coinvolte altre questioni come le limitazioni temporanee stabilite dalla legge.

Anche le telefonate con i difensori sono comunque strettamente regolate in base alle specifiche esigenze dei detenuti. Ad esempio, i detenuti con posizione giuridica di imputati possono intrattenere colloqui senza restrizioni, mentre per gli appellanti l’autorizzazione è subordinata a determinati motivi, come udienze in corso o imminenti. Per i detenuti definitivi l’autorizzazione è concessa solo in presenza di specifiche motivazioni, quali l’imminenza di una attività processuale. Sebbene le telefonate siano regolate, l’obiettivo principale è garantire l’accesso al difensore in modo equo e non discriminatorio. Le restrizioni sono applicate in modo differenziato, considerando le situazioni individuali e le esigenze processuali dei detenuti. Ogni istituto ha poi disposizioni interne che tengono conto della tipologia e del numero dei detenuti, delle tecnologie disponibili e dei mezzi a disposizione.

Dal 2020 è comunque prevista una pena da 1 a 4 anni per chi introduce o detiene telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione all’interno di un istituto penitenziario. La disponibilità di telefoni cellulari in carcere è in costante aumento e consente ai detenuti di ‘aggirare’ il limite dei dieci minuti per le telefonate, creando, come si è appurato, una sorta di attività commerciale: una telefonata in cambio di sigarette, alimenti o vantaggi di vario tipo. Far telefonare di più tutti ed in modo regolare, come durante la pandemia, porterebbe quindi solo dei benefici. E con la tecnologia attualmente a disposizione non sarebbe certo un problema raggiungere lo scopo. È solo questione di volontà.