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di Enrica Riera

Quotidiano del Sud, 21 agosto 2023

Si chiamano “Ipm” e sono gli istituti penali per minorenni, luoghi in cui ragazzi e ragazze scontano la propria pena mettendo in attesa sogni, passioni, vita; in Italia le carceri minorili sono in totale diciassette, da Caltanissetta a Treviso, con caratteristiche e dimensioni anche molto diverse tra loro: al 2022 il numero complessivo di reclusi era 316, col tasso più alto nell’Ipm di Torino (38 i ristretti) e un totale, in tutta Italia, di 8 ragazze detenute, per metà straniere.

“Numeri, questi ultimi, significativamente più bassi rispetto a quelli che si registravano in passato”, scrive l’associazione “Antigone”, da sempre a tutela dei diritti e delle prerogative dei detenuti, nel suo ultimo rapporto sulla giustizia minorile. Numeri, ancora, che, per la loro residualità, testimoniano quanto sia fondamentale continuare a dare risposte sul terreno sociale e non penale.

Accanto alle carceri minorili, sul territorio nazionale si contano, infatti, anche 637 comunità residenziali disponibili all’accoglienza di minori o giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali. Di queste, solo tre - a Bologna, Catanzaro e Reggio Calabria - sono gestite direttamente dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia. Le altre 634, censite in un elenco semestralmente aggiornato, sono strutture private che vengono accreditate dal Ministero a svolgere questo compito.

A tale scopo, i Centri per la giustizia minorile stipulano convenzioni con comunità, associazioni e cooperative che lavorano con i giovani e sono riconosciute a livello regionale. Le comunità devono presentare un’organizzazione di tipo familiare, impiegare operatori professionali di varie discipline, collaborare con le istituzioni coinvolte, usare le risorse territoriali. Luoghi, pertanto, meno “afflittivi” rispetto alla realtà carceraria tout court, verso i quali la giustizia dedicata ai minori dovrebbe sempre più tendere dal momento che, volendo citare le parole di Patrizio Gonnella, presidente di “Antigone”, “educare è sempre meglio che punire”.

“Il 2020 è stato l’anno dell’inizio della pandemia e del lockdown - dice sempre Gonnella nell’ultimo rapporto disponibile sulla giustizia minorile, appunto quello già citato del 2022 - ovviamente i limiti alle possibilità di spostamento delle persone, e tra loro dei minori, hanno ridotto significativamente, rispetto al passato, tutti gli indici di delittuosità. Se guardiamo infatti al numero totale dei minorenni arrestati o fermati dalle forze di polizia, siamo passati dalle 34.366 segnalazioni del 2016 alle 26.271 del 2020, con un calo percentuale del 24%.

Non tutto è però esito della pandemia. Il calo, infatti, era già riscontrabile nel 2019 quando le segnalazioni erano state 29.544 con un calo rispetto al 2016 del 15%. Dunque - continua Gonnella - la decrescita era già avvenuta, prima ancora dei divieti introdotti con lo stato di emergenza dato dal Covid. Possiamo quindi ragionevolmente sostenere che la legislazione in vigore dal 1988 (D.p.r. 488), nella parte in cui prevede una procedura prevalentemente finalizzata all’inclusione sociale piuttosto che alla repressione penale, ha indubbiamente favorito un progressivo calo del numero dei reati degli infra-diciottenni. L’educazione, nei tempi medi e lunghi, è - conclude - uno straordinario strumento preventivo. Ben utile sarebbe un’ulteriore accelerazione su quel modello, da sperimentare anche oltre il sistema minorile”.

Ma scendiamo nel dettaglio e “analizziamo” l’unico tra le carceri minorili presente in Calabria, quello di Catanzaro, che “Antigone” ha visitato, non a caso, lo scorso anno. Al momento della visita al “Silvio Paternostro” i detenuti erano 13 ragazzi, di cui 8 minorenni e 5 giovani adulti. Otto erano ragazzi di origine straniera. “Il principale nodo problematico è la carenza di spazi per quanto attiene all’edificio prettamente detentivo che è di vecchia costruzione (risale di fatti agli anni ‘30, sebbene diverse siano state le ristrutturazioni seguite nel tempo, ndr). Tra i nodi identificativi - scrive ancora “Antigone” - vi è la possibilità di svolgere l’attività lavorativa dopo un breve periodo di osservazione e la buona integrazione con il territorio. La maggior parte dei ragazzi detenuti lavora e la quasi totalità di questi lo fa internamente all’istituto”.

Un’altra criticità riguarda, infine, l’assenza di luoghi di culto diversi da quelli cattolici e, sempre al momento della visita dell’associazione, non accedevano ministri di culto diversi. “Nel corso dell’estate 2021 sono stati effettuati 2 trasferimenti per motivi di gestione dell’ordine interno. La crisi sanitaria non ha inciso sul sistema disciplinare. In caso di isolamento, la persona resta in cella e l’esclusione riguarda solo le attività”, scrive “Antigone”. Che poi aggiunge: “Viene segnalata una rissa nell’estate 2021 e un episodio di autolesionismo”.

Tra diritti emersi, dunque, e diritti sommersi si muove l’esistenza di questi giovani detenuti che, troppo spesso, il mondo di fuori guarda ma non vede. Dimenticando che la nostra discendenza è da Caino: nessuno è Abele.