sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 1 settembre 2023

Antigone ha affrontato un argomento delicato: l’associazione tra le regioni meridionali e la criminalità. Analizzando con profondità questi dati, evidenzia la necessità di considerare i fattori socio-economici prima di trarre conclusioni affrettate.

Calabresi, campani, pugliesi e siciliani sono dei criminali per indole? L’Associazione Antigone ha affrontato una interessante argomentazione partendo dal dato che - se visto superficialmente - suggerisce che le persone del Sud siano più inclini al crimine rispetto ai cittadini delle altre regioni italiane. Tuttavia, un’analisi più approfondita di questi dati rivela un quadro più complesso e sottolinea l’importanza di considerare fattori socio-economici e contestuali prima di trarre conclusioni affrettate.

La riflessione dell’Associazione Antigone parte dal seguente dato: al 30 giugno 2023, il 45,2% delle persone detenute in Italia proviene dalle regioni di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Questo dato sembrerebbe suggerire una maggiore propensione al crimine in queste aree. Eppure fa emergere che il carcere è spesso un riflesso dell’emarginazione sociale, della povertà e di altri fattori strutturali. Un punto chiave per contestualizzare i dati carcerari è la correlazione tra povertà e tasso di criminalità. Secondo il ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2020 Calabria, Campania, Puglia e Sicilia si trovavano tra gli ultimi sei posti in termini di reddito medio. Questo legame tra bassi redditi e criminalità è un tema ampiamente riconosciuto dagli esperti di criminologia.

È quindi fondamentale capire che il carcere non riflette solo l’attività criminale in senso stretto. È un luogo in cui si concentrano le conseguenze dell’emarginazione sociale, delle disuguaglianze e della mancanza di opportunità. Molti detenuti provengono da contesti di svantaggio socio-economico, e la loro presenza in carcere è spesso la risultante di una serie di fattori, tra cui mancanza di accesso all’istruzione, disoccupazione e limitate opportunità di riscatto sociale. L’analisi dell’Associazione Antigone sottolinea giustamente che la questione meridionale è prima di tutto una questione sociale. Le politiche mirate al miglioramento del welfare e delle opportunità di lavoro sono essenziali per affrontare le radici della criminalità. Una visione più approfondita del quadro complessivo rivela che calabresi, campani, pugliesi e siciliani non sono necessariamente più inclini al crimine, ma spesso affrontano sfide socio-economiche più grandi rispetto ad altre regioni.

La riflessione dell’Associazione Antigone, che suggerisce un’associazione tra le regioni meridionali e la criminalità, richiede una valutazione critica dei dati e del contesto circostante. La detenzione in carcere è un riflesso complesso di fattori sociali ed economici, e attribuire una predisposizione al crimine a specifiche regioni non tiene conto della natura multifattoriale del problema. È fondamentale affrontare la questione del carcere e della criminalità con una prospettiva più ampia che includa il contesto socio-economico e la necessità di politiche volte al miglioramento delle condizioni di vita e delle opportunità nelle regioni emarginate.

Una analisi che fa il paio con l’ultima relazione al Parlamento da parte del Garante nazionale delle persone private della libertà. Alla presentazione a Montecitorio, il presidente Mauro Palma, evidenziando la tendenza all’aumento del numero di individui detenuti per pene estremamente lievi, ha messo in luce un punto critico: il mancato accesso a misure alternative alla detenzione nei confronti di questi ristretti. Questo problema sembra essere associato a una marginalità sociale che dovrebbe essere affrontata con soluzioni più mirate. Invece di mandare persone con pene brevi in carcere, sarebbe stato necessario trovare risposte che riducessero l’esposizione al rischio di recidiva. La relazione del Garante ha sottolineato come la povertà sia uno dei principali fattori che contribuiscono all’assenza di accesso a misure di comunità e di alternative alla detenzione.