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di Valter Vecellio

lindro.it, 21 aprile 2022

La Corte di Cassazione boccia come “inumano e degradante” il wc all’interno della stanza detentiva, e afferma che la separazione assicurata da un muretto alto un metro e mezzo non cambia le cose, né sotto il profilo della privacy né della salubrità.

Ce lo si era chiesti in una nota pubblicata su questo giornale il 13 aprile scorso (‘Giulio Regeni ancora senza pace e senza giustizia’): “Chissà se accade anche in altri paesi di dover accendere un procedimento, e fare tutti i tre gradi di giudizio, approdare alla Corte di Cassazione, per vedersi riconosciuta l’inammissibilità del ricorso predisposto dal ministero della Giustizia contro una riduzione di pena disposta dal Tribunale di Sorveglianza de L’Aquila “causa” water.

La Corte di Cassazione boccia come “inumano e degradante” il wc all’interno della stanza detentiva, e afferma che la separazione assicurata da un muretto alto un metro e mezzo non cambia le cose, né sotto il profilo della privacy né della salubrità…la terza sezione della Cassazione ha avuto modo di contestare al Ministero che la “presenza del wc all’interno della stessa stanza dove il detenuto cucina, mangia e dorme senza un’effettiva separazione aveva inciso sulla condizione detentiva rendendola degradante e comprimendo non solo il diritto alla riservatezza ma anche la salubrità dell’ambiente”. C’era bisogno di una sentenza, per capirlo e saperlo”.

Ora arriva anche il conforto di Luigi Manconi. Su ‘Repubblica’ recensisce ‘Letteratura d’evasione’, curato da Federica Graziani e Ivan Talarico, una sorta di antologia di esperienze e racconti vissuti “durante il corso di scrittura all’interno del carcere di Frosinone”. Ai detenuti è stato chiesto di descrivere le proprie “camere di pernottamento”, più volgarmente: celle.

Idea molto interessante, chiosa Manconi: “Perché in quelle recensioni si rispecchia spesso l’immagine di sé e dei propri rapporti più intimi che la persona privata della libertà e coatta in uno spazio angusto vuole trasmettere all’esterno. Da un punto di vista architettonico e sociologico assai utile sarebbe estendere quell’attività di descrizione e scrittura fino a concentrarla nel buco più profondo contenuto in quel buco che spesso è la cella. Ovvero il water”.

Anche a Manconi non è sfuggita la sentenza della Cassazione che si è segnalata una settimana fa: “la presenza del WC all’interno della stessa stanza dove il detenuto cucina, mangia e dorme senza un’effettiva separazione” inciderebbe in profondità “sulla condizione detentiva rendendola degradante e comprimendo non solo il diritto alla riservatezza ma anche la salubrità dell’ambiente”.

Sentenza importante a proposito di una questione rilevantissima per valutare lo stato del nostro sistema penitenziario e il livello di mortificazione della dignità umana cui può giungere. L’associazione Antigone segnala che almeno il 5 per cento delle celle presentano condizioni igieniche condannate dalla Cassazione.

Questione pochissimo trattata dai grandi mezzi di comunicazione; il carcere è un qualcosa di cui non si deve parlare; l’opinione pubblica non deve conoscere. Qualcuno, sulla base di imperscrutabili analisi e sondaggi demoscopici, ha stabilito che carcere, giustizia, come viene amministrata, vanno rubricate nel catalogo delle cose che “annoiano”, non interessano.

Sarà davvero così? Certamente sono questioni che interessano (o hanno direttamente interessato) quelle circa mille persone che ogni anno, a partire dal 1991, sono finite in carcere, per poi uscirne, dopo giorni, settimane, mesi, irrimediabilmente piagate nello spirito e nel fisico a volte, ma con il “bollo” dell’innocente perché “il fatto non sussiste” o “non costituisce reato”. Fate voi i conti: mille innocenti moltiplicati 31 anni; e metteteci i congiunti, sicuramente pochissimi gli orfani, vedovi, senza figli e parenti di sorta. Dunque di riffa o di raffa, parecchie decine di migliaia di persone. Non interessa?

I partiti, bontà loro, sono impegnati in una mediocre zuffa attorno a una blanda riforma del Consiglio Superiore della Magistratura; l’Associazione Nazionale dei Magistrati minaccia sfracelli, addirittura uno sciopero preventivo, sulla legittimità pesano parecchi dubbi: può un ordine dello Stato scioperare contro una decisione sgradita fin che si vuole, ma legittima, del Parlamento? Può condizionare l’iter di una legge di riforma in modo così plateale e sfacciato? Ecco, mentre questo accade, la giustizia italiana, la sua amministrazione, continua a versare in uno stato comatoso, a tutto vantaggio del Partito Immobilista Giustizialista, che intende difendere con le unghie e con i denti i propri privilegi e le proprie postazioni di potere.

Le cifre sono eloquenti e indiscutibili: dal 1991 al 2021, 30.017 persone sono state vittime di ingiusta detenzione: hanno patito una custodia cautelare e poi si sono trovate assolte. Per questo lo Stato, cioè ogni cittadino di questo paese, ha pagato 819 milioni di euro, circa 27 milioni di euro l’anno. Per quanto riguarda gli errori giudiziari veri e propri, cioè i casi di coloro che, dopo essere stati condannati con sentenza definitiva, vengono assolti in seguito a un processo di revisione, questi sono stati 214, con una spesa in risarcimenti di 76 milioni di euro. Quanti magistrati hanno pagato per questa situazione? N-E-S-S-U-N-O.

La documentazione viene fornita quotidianamente aggiornata dall’associazione “Errori giudiziari”, e nessuno si è sognato di smentirla; perché semmai la situazione reale è perfino peggiore di quella fin qui descritta. Il quadro comunque è semplicemente desolante.

Da ultimo un inequivocabile altolà: “La protesta dei magistrati mi sembra inopportuna nel contenuto, nel metodo e nelle ragioni. I magistrati hanno tutto il diritto di promuovere iniziative per questioni legate alla loro posizione di dipendenti statali, ma lo sciopero non può costituire l’occasione per far valere orientamenti politici o per contestare i contenuti di scelte legislative, peraltro ancora oggetto di discussione in parlamento. Le leggi in questo paese le fa il parlamento”. Viene da un giurista insigne, ex ministro della Giustizia, Presidente emerito della Corte Costituzionale: il Professor Giovanni Maria Flick. Questa la situazione, questi i fatti.