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di Ilaria Cucchi

La Stampa, 8 gennaio 2024

Aveva disabilità psichiatriche e aveva già manifestato il proposito di impiccarsi: gli agenti lo sapevano. Signor Sottosegretario al Ministero della Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, voglio chiederle: lei sa chi è Matteo Concetti? Sicuramente no, perché era un giovane uomo detenuto nel carcere di Ancona. Per una persona, come lei, che nella scorsa Legislatura si è impegnata a portare avanti una battaglia come quella di tentare di eliminare dalle funzioni istituzionali del Dipartimento di Polizia Penitenziaria la tutela dei detenuti limitandola ai soli agenti, cosa possono contare la salute e la vita dei carcerati? Nulla.

A lei non interessa nulla il fatto che Matteo, persona con particolari deficit psichiatrici tanto da aver costretto il Tribunale di Rieti a nominargli un amministratore di sostegno, la sera del 4 gennaio sia stato trovato morto impiccato nella cella di isolamento nella quale era stato rinchiuso. Un ragazzo di soli 23 anni con disabilità psichiatriche che viene ristretto in un carcere, e pure in cella d’isolamento, abbandonato ad un destino assolutamente prevedibile.

Matteo aveva manifestato più volte il proposito di impiccarsi. Lo ha fatto con le lenzuola della sua branda. Non solo la madre lo aveva detto agli agenti ma, fatto ancor più grave, già il 28 dicembre il suo avvocato aveva inviato una pec alla struttura carceraria chiedendo un colloquio urgente per discutere della terapia medica che gli veniva somministrata. Addirittura l’avvocata Cinzia Casciani ha messo nero su bianco il fatto che Matteo avesse più volte detto di volersi suicidare!

Caro Sottosegretario le confesso che io, a differenza sua, mi sento tanto in colpa. Non riesco a dormire. Sa perché? Perché la madre di quel ragazzo aveva cercato di contattarmi riuscendo a parlare con me al telefono alle 14 di quel maledetto giorno. Era arrabbiata per l’inerzia indolente dell’Amministrazione. Disperata per la sua preoccupazione perché conosceva bene suo figlio e sapeva che non scherzava. Ho fatto mie quelle preoccupazioni. Stavo preparando le valigie per fare ritorno a Roma da Ferrara, la città del mio compagno, ripromettendomi che alla ripresa del mio lavoro, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di contattare il Carcere ed il DAP.

Non ho fatto in tempo: Matteo Concetti è deceduto alle 20 di quello stesso giorno in cui sua madre aveva parlato con me. Mi sto chiedendo se avrei potuto fare qualcosa per salvarlo. I miei figli di fronte al mio sconforto, dicono che non sarebbe cambiato nulla. “Mamma - mi dicono - non ci sarebbe stato tempo e poi, con tutte le continue richieste di aiuto che ricevi da ogni parte come potevi sapere che quel ragazzo lo avrebbe fatto davvero?”. Hanno ragione ma io mi sento in colpa.

Credo sia normale visto che un ragazzo di 23 anni oggi non c’è più. Ma io le chiedo: come si può concepire che possa essere trattato in questo modo?! Il sindacato di Polizia Penitenziaria, puntuale come sempre, fa sapere che nei giorni precedenti Matteo aveva aggredito un agente. Ma era un malato psichiatrico con tanto di amministratore di sostegno, caro Sottosegretario! Le interessa tutto questo? Si sente in colpa come titolare delle funzioni istituzionali che riveste o quantomeno come uomo? Onestamente non credo.

D’altronde, non si può mettere certo in discussione la sua coerenza dal momento che, in questa Legislatura, non sono mancate le interrogazioni parlamentari sui suoi rapporti, a dir poco anomali, con la Penitenziaria, con una delle relative organizzazioni sindacali in particolare. Il sindacato che oggi interviene sulla morte annunciata di Matteo denuncia lo stato di profondo degrado delle nostre carceri ma si indigna, difendendola, con i partiti che le hanno proposte facendo esplicito riferimento alla famosa cena col botto.

Lei e soltanto lei, oggi, dovrà rispondere su questa tragedia. Ma non mi aspetto nulla da parte sua. Sono note le sue vibranti prese di posizione per abolire la legge che punisce la tortura, rea, la legge, di non consentire agli agenti di difendersi. Per lei le Istituzioni non debbono sprecare tempo e risorse per la tutela della popolazione carceraria di questo Paese. Si tratta, in fondo, soltanto di numeri privi di identità e diritti.

Nobile e di alto valore la sua decisa presa di posizione documentata in un video girato nel settembre del 2020, davanti al carcere di Biella, ove lei disse a gran voce: “Intanto il 33 per cento dei detenuti sono stranieri. Prendano la barca e tornino a casa loro a scontare”. Queste le sue esatte parole.

Intanto Matteo Concetti non c’è più ed io non me ne do pace. Alimenterà l’allucinante statistica dei suicidi in carcere avvenuti nel nostro Paese, nell’indifferenza generale e, soprattutto, sua. Io porto il peso di questa immane tragedia. Sicuramente vive meglio lei, tra feste, cene e proclami.

Farei a cambio con Lei? No grazie. Preferisco la mia vita. Preferisco condividere il dolore della famiglia Concetti come quelle di tutti gli ultimi i cui diritti sono quotidianamente calpestati da uno Stato troppo spesso cieco, sordo, quando non addirittura crudele. Buona vita Sottosegretario.