di Liana Milella
La Repubblica, 27 gennaio 2023
La premier frena gli alleati sulla riforma che prevede quattro passaggi parlamentari e un possibile referendum finale. La sfida “costituzionale” sulla separazione delle carriere dei giudici è partita. Univoca, stavolta. Perché non ci sono né divisioni né contrasti, neppure nelle sfumature, nella maggioranza. La voce è coesa, le intenzioni pure. Tutti vogliono dividere per sempre i pm dai giudici. Con un appoggio che conta soprattutto nei numeri. Quello del Terzo polo dove, tra Azione e Italia viva, da Costa a Giachetti a Calenda a Boschi a Renzi, non c’è un solo deputato o senatore che non voterebbe un sì convinto per due carriere, due concorsi, due Csm. E stop con il capo dello Stato presidente pure del Csm.
Un simbolo intangibile, uno scudo che da sempre ha protetto le toghe. Invece i due futuri Csm vedrebbero al vertice il primo presidente della Cassazione per i giudici, e il procuratore generale della Cassazione per i pm. Magistrati potenti, ma che certo non hanno, né potrebbero avere, l’autorevole peso del capo dello Stato. Basti ricordare le volte in cui Napolitano prima, e Mattarella poi, pur bacchettando i magistrati, ne hanno garantito la credibilità. Tutto questo potrebbe diventare solo storia. Non solo perché Forza Italia e Lega si sono appena scatenati nel depositare altrettante proposte di legge per separare le carriere sia alla Camera che al Senato, che vanno ad aggiungersi a quella dell’apripista Enrico Costa di Azione, che già una settimana dopo il voto del 25 settembre l’ha consegnata alla Camera. Una legge costituzionale che, di per sé, escude accelerazioni. Proprio come chiede Meloni.
Nei frontespizi, ecco i nomi del Carroccio che contano, al Senato la leghista Erika Stefani, che segue le indicazioni della responsabile Giustizia Giulia Bongiorno. E alla Camera il suo alter ego Jacopo Morrone. Dice ora Bongiorno: “Separare le carriere è un nostro cavallo di battaglia. Sia alla Camera che al Senato siamo pronti a contribuire affinché vada in porto una separazione indispensabile per rendere una giustizia credibile, e da noi sostenuta con i referendum”. Primavera 2022, la Lega si salda con i Radicali e si butta nella raccolta di firme. Ma perde ai numeri.
Ma stavolta, proprio i numeri arridono a chi coltiva l’eterno progetto di Berlusconi, stop “al pm che va col cappello in mano dal giudice”. Maggioranza schiacciante. Sia alla Camera che al Senato. Lo dice Enrico Costa che al governo chiede “il primo atto concreto e coerente con le linee programmatiche del Guardasigilli Nordio”. Lo sostiene il forzista Pietro Pittalis, avvocato, vice presidente della commissione Giustizia della Camera, che ha seguito Costa visto che la sua proposta è stata appena calendarizzata per il 2 febbraio nella commissione Affari costituzionali. Pittalis non ha dubbi: “Il Paese è con noi. Senza fare torto a nessuno, è tempo di ristabilire il giusto equilibrio tra accusa e difesa, e le condizioni per farlo, per i numeri della maggioranza e il consenso dell’opinione pubblica, ci sono”. La capogruppo del Pd a Montecitorio Debora Serracchiani minimizza: “Ancora una volta si agita un tema divisivo senza tener conto del lavoro fatto e senza nemmeno verificare gli effetti della riforma Cartabia, votata anche da partiti oggi al governo, che prevede un solo passaggio tra pm e giudice”.
Pittalis la butta in politica. “Anche se si andasse al referendum siamo sicuri di vincere”. È vero che il referendum radical leghista è andato a buca, ma non c’era stato l’en plein di Meloni alle politiche. Ma non è detto che, dopo quattro votazioni, due alla Camera e due al Senato come prevede la Costituzione, si vada al referendum. Come fa notare Pierantonio Zanettin, capogruppo forzista al Senato in commissione Giustizia, non bisogna tralasciare l’ultimo comma dell’articolo 138 della Carta che esclude il referendum “se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi”. Certo, la coperta per la maggioranza è corta, ma con il Terzo polo una sfida simile non si può escludere.