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di Angelo Picariello

Avvenire, 15 marzo 2022

Da strumento residuale quella riparativa può diventare un “pilastro fondamentale” della nostra giustizia. La Guardasigilli Marta Cartabia alla Cattolica tira le conclusioni all’incontro organizzato dall’ateneo milanese per fare il punto sul progetto Re-Justice finanziato dal Programma Giustizia (2014-2020) dell’Unione Europea.

Un progetto formativo dei magistrati (che ha messo in rete tutti gli attori della giustizia penale, “mediatori” compresi) cui l’Italia partecipa, proprio attraverso l’Università Cattolica in collaborazione con la Scuola Superiore della Magistratura, insieme a Belgio, Spagna e Grecia. Cartabia lo definisce di “fondamentale importanza per il nostro oggi e per il domani della nostra giustizia”.

L’obiettivo della restorative justice è quello di “ricucire i rapporti sociali”, dice il rettore dell’Università Cattolica del sacro Cuore, Franco Anelli, citando le parole del cardinale Martini, che tanto aveva seminato nelle carceri per favorire la riconciliazione. “Non è un atto di clemenza generalizzato” spiega il rettore, e nemmeno un atto di buonismo, non foss’ altro perché quando la pena si conclude non cessa l’esigenza di percorrere la strada della riconciliazione.

Due gli esempi che fanno scuola. Quello della Commissione per la verità e la riconciliazione in Sudafrica, presieduta dall’arcivescovo Desmond Tutu, che pose fine alla stagione dell’apartheid, e quello in Italia portato avanti dal gruppo dell’Incontro (promosso dal gesuita padre Guido Bertagna e dai giuristi Claudia Mazzucato e Adolfo Ceretti) fra vittime ed ex della lotta armata.

La Guardasigilli non fa mistero che sia stato proprio l’impatto con quest’ultimo progetto ad averla appassionata al tema, fino a mutare del tutto la sua visione di giustizia. “È stato uno spartiacque per me. Siamo abituati a vedere nella giustizia una terzietà che implica lontananza, mentre questa è una giustizia che avvicina, mette le persone una di fronte all’altra anche attraverso la figura del mediatore. E lo vediamo anche nei grandi conflitti come siamo alla ricerca disperata di un mediatore”.

La giustizia riparativa è stata al centro lo scorso dicembre a Venezia della Conferenza dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa (riunitasi con la presidenza italiana) ed è parte integrante della legge delega al Governo per l’efficienza del processo penale. “Deve essere complementare rispetto alla giustizia penale, ha un orizzonte potenzialmente sconfinato che parte dalla scuola materna e arriva ai conflitti tra gli Stati. Non è un mistero - spiega ancora Cartabia - che ogni settore della riforma della giustizia sia caratterizzato da aspre contrapposizioni, mentre la giustizia riparativa non ha incontrato resistenze finora”.

Non esclude “eventuali momenti di tensione che potrebbero verificarsi quando andremo a chiedere le risorse per l’attuazione, ma voglio essere ottimista”. Tanta strada è stata fatta dal 2016, quando un corso che prevedeva anche l’intervento di ex della lotta armata rappacificati con le famiglie delle vittime provocò tante polemiche.

“Dovemmo rinunciare a farlo - ricorda Gaetano Silvestri, allora, Presidente della Scuola Superiore della Magistratura - ma sapevamo di essere nel giusto”. Concorda l’attuale presidente della scuola e Presidente emerito della Consulta Giorgio Lattanzi, che condanna il “populismo penale, che considera la certezza della pena come una sorta di certezza del carcere”.

Siamo dentro “una fase di passaggio” sintetizza un altro presidente emerito della Consulta, Valerio Onida. Si tratta di “andare “oltre la concezione retributiva della pena. Passare dal semplice pareggiamento dei conti, attraverso un incontro che resta libero e volontario, alla piena attuazione dei valori della Costituzione”.