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di Viviana Lanza

Il Riformista, 24 marzo 2022

L’audizione in Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza. Si era deciso, circa un anno fa, che ogni anno per tre anni la Campania avrebbe avuto fondi per 240mila euro da destinare alla realizzazione di case famiglia protette dove ospitare donne detenute con figli minorenni al seguito. Il Governo lo aveva stabilito come primo passo per togliere dal carcere bambini innocenti, la Campania è al terzo posto dopo Sicilia e Lombardia per entità del finanziamento. Ma la novità è che non ci sono novità, che tutto è fermo, che nessuno di quei soldi è servito a realizzare una casa famiglia per il momento. Lo ha ribadito il garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello, nel corso della sua audizione nella Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza.

“A me fa piacere che il Parlamento abbia approvato in bilancio il finanziamento di case famiglie protette per detenute con figli che devono scontare tre anni di pena, ma ad oggi non è partito niente e siamo ancora fermi a un riparto dei fondi che ritengo sia stato fatto un po’ male, perché con il criterio adottato si rischia una dispersione dei fondi - spiega Ciambriello - sarebbe meglio invece individuare tre o quattro luoghi per tutto il territorio nazionale e concentrare lì strutture di accoglienza e case famiglia protette. In Campania, poi, si consideri che c’è il 50% delle mamme detenute”. Numeri a parte, ci sono anche molti paradossi. “Far vivere in carcere la maternità, la tutela degli affetti, l’educazione dei figli è incompatibile con il carcere stesso e il paradosso - aggiunge Ciambriello parlando alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza di Palazzo San Macuto - è che servizi e assistenza vengono offerti alle donne ai loro bambini quando sono in carcere e non quando sono fuori, non prima che finiscano in carcere”.

In Campania, ormai da anni, le donne detenute con bambini al seguito sono recluse nell’Icam di Lauro, nell’Avellinese. L’Icam è un istituto a custodia attenuata, cioè prevede restrizioni come un carcere ma non ha le sembianze di un carcere vero e proprio. Le sezioni si chiamano lati: c’è quello azzurro e quello arancione. Le celle sono bilocali con zona letto e angolo cottura, gli agenti non indossano la divisa e gestiscono la sicurezza soprattutto attraverso il sistema di videosorveglianza. Il cortile esterno è una sorta di piazzetta con panchine e parco giochi e dentro la vita somiglia un po’ di meno a quella di una galera e un po’ di più a quella fuori, libera, che ogni bambino dovrebbe vivere. I bambini dell’Icam che frequentano la scuola dell’infanzia o la primaria sono i primi a salire sul pulmino comunale e gli ultimi ascendere, così nessuno rischia l’imbarazzo di uscire e rientrare nel grande cubo che è l’Icam di Lauro.

“Nel corso del tempo abbiamo avuto una presenza costante - spiega Paolo Pastena, il direttore dell’Icam di Lauro - tanto che non siamo mai scesi al di sotto delle sei mamme, toccando anche punte di sedici madri in un determinato periodo con altrettanti figli. La struttura di Lauro nasce da un’idea elaborata dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria con l’università Federico II di Napoli per costruire ambienti che ricordassero poco un istituto penitenziario e molto più una civile abitazione. Per le attività educative ci sono i volontari. Abbiamo due psicologi, un pediatra di libera scelta, un’infermiera. Due bambini autistici hanno cominciato nella struttura il trattamento e lo scorso anno due madri hanno partorito durante la detenzione”. Insomma, l’istituto funziona. Ma è pur sempre una struttura detentiva con tutte le criticità che questo comporta. “Una mamma detenuta dovrebbe stare in istituto pochi giorni, ci sono state mamme che sono rimaste tre o quattro anni - racconta il direttore Pastena - La permanenza in un Icam non dovrebbe durare a lungo, dovrebbe subito esserci un’evoluzione successiva”.