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di Luigi Manconi e Marica Fantauzzi

La Repubblica, 28 ottobre 2023

Il provvedimento assunto nei confronti dell’anarchico sembra avere il significato di una sentenza esemplare e di un messaggio pesantemente simbolico. Il 15 novembre di un anno fa sulle pagine di questo giornale si parlava per la prima volta dell’applicazione del regime di detenzione del 41 bis all’anarchico Alfredo Cospito. Detenuto nel carcere di Sassari, Cospito da un mese aveva iniziato lo sciopero della fame contro le limitazioni imposte da quel regime speciale: l’ora d’aria passata in un piccolo rettangolo di cemento, la socialità ridotta a due persone, le comunicazioni con l’esterno trattenute in entrata e in uscita, la possibilità di leggere pochi e selezionati testi. E a seguire tutta una serie di ulteriori proibizioni e divieti, tra cui - il più insensato - quello di tenere sulle pareti della cella le fotografie dei propri genitori defunti. Misure, tutte, che nulla hanno a che fare con l’obiettivo originario del 41 bis, che è solamente uno: l’interruzione delle relazioni tra il recluso e l’organizzazione criminale di appartenenza.

Da quel 15 novembre più volte si è scritto di come fosse iniqua l’applicazione di quel dispositivo nei confronti di un detenuto la cui appartenenza a un’organizzazione criminale formalizzata, gerarchica e centralizzata veniva messa in discussione, non solo da numerosi giuristi, ma anche da alcune sentenze. Cospito, nel frattempo, metteva in atto un digiuno totale, inizialmente nel silenzio più assoluto, poi in un caos mediatico che finì per arrivare a condizionare la stessa agenda politica. In quella circostanza molti appresero per la prima volta quali possono essere gli effetti di un digiuno prolungato e quali le sue conseguenze irreversibili. Poi, la Corte costituzionale ha emesso un primo verdetto positivo: si apriva uno spiraglio verso una riduzione di pena e si ribadiva l’incostituzionalità di un automatismo che vietasse di accedere ai benefici, a prescindere dall’entità della sanzione inflitta.

Ora, dopo un anno, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha confermato l’applicazione del 41 bis nei confronti di Cospito. Contro tale decisione va ricordato che la Procura nazionale Antimafia e Antiterrorismo, la Direzione distrettuale Antimafia di Torino, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, hanno espresso parere favorevole al trasferimento di Cospito a una forma di detenzione di minore afflittività, come quello di alta sicurezza. La stessa opinione era stata argomentata dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione.

Per poter ignorare questi così importanti pareri, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha dovuto definire “contraddittorie” le motivazioni di un organismo autorevole come la Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Di conseguenza, il provvedimento assunto nei confronti di Cospito sembra avere il significato di una sentenza esemplare e di un messaggio pesantemente simbolico. A rafforzare tale sensazione ci sono due elementi: nelle motivazioni della conferma del 41 bis, si indica lo sciopero della fame attuato da Cospito come indice della sua pericolosità, mentre ragionevolmente lo si sarebbe potuto interpretare come l’esatto opposto: ovvero la scelta pacifica di un’azione nonviolenta.

Inoltre, in quelle stesse motivazioni, il magistrato estensore non ricorre all’espressione giuridica “41 bis”, bensì alla formula giornalistica “carcere duro”. Cosa che la detenzione speciale non è e non deve essere. Non è, secondo la legge, un sistema più afflittivo, più pesante, più segregativo di esecuzione della pena. È, come già si è detto, un regime che ha la sola ed esclusiva finalità di interrompere i rapporti tra il recluso e l’organizzazione criminale esterna. Bizzarro che i magistrati del Tribunale di Sorveglianza spensieratamente lo dimentichino. Nonostante ciò, non si può dire che quest’anno sia passato inutilmente. Se non altro una quota più ampia di opinione pubblica ha avuto l’occasione di conoscere meglio quel sistema di detenzione che un ex magistrato come Gherardo Colombo considera “non costituzionale”.