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di Gianfranco Locci

La Stampa, 16 novembre 2023

L’unico sopravvissuto alla strage di Sinnai di fatto scagiona il condannato all’ergastolo, che si è sempre proclamato innocente e ha già trascorso 31 anni in carcere. “Mio fratello non dava fastidio a nessuno”. “La mia famiglia vive un lutto, da più di trent’anni. Con mio marito, in tutto questo tempo, non siamo mai andati a una festa. Non viviamo più ma ho ancora la forza per lottare e per chiedere giustizia per mio fratello Beniamino. È sepolto vivo, eppure tutti sanno che è innocente”. Augusta Zuncheddu ha 61 anni, è originaria di Burcei, in Sardegna. Da quel lontano mese di febbraio del 1991 la sua esistenza è animata da un’unica missione: ottenere la scarcerazione del suo Beniamino, condannato all’ergastolo con l’accusa di aver ammazzato tre persone nella “strage di Sinnai”. Dall’ultima udienza del processo di revisione in corso davanti ai giudici della Corte d’Appello, martedì scorso a Roma, si intravede però un lieto fine.

Luigi Pinna, l’unico sopravvissuto della strage dell’8 gennaio del 1991, in aula ha reso una testimonianza che di fatto scagiona suo fratello. Ha detto che il “killer aveva una calza sul volto”, dunque era irriconoscibile. Perché, allora, si è arrivati a condannare all’ergastolo Beniamino Zuncheddu?

“È stata messa in piedi una cosa diabolica. Un castello costruito sulla sabbia, con testimoni falsi. D’altronde, siamo davanti a chi dà 4 o 5 versioni diverse. Prima il testimone ha detto che il killer era a volto coperto, poi invece era scoperto, quindi di nuovo coperto. Addirittura, una volta ha detto che l’omicida aveva sollevato il passamontagna per legarsi le scarpe, e che in quel frangente aveva notato un neo sul naso. Ebbene, mio fratello Beniamino non ha alcun neo. Insomma, sono state dette un sacco di bugie. Tante parti di un puzzle, ma il puzzle non si forma proprio”.

Qualcuno ha voluto colpire Beniamino Zuncheddu, far ricadere le colpe sull’allora giovane allevatore?

“Per me è andata proprio così. Perché Beniamino era una persona buona e indifesa, non dava fastidio a nessuno. Quindi, erano tranquilli, forse pensavano in questo modo di aver individuato la vittima sacrificale giusta”.

Su cosa poggiano le sue convinzioni?

“Mio fratello non aveva neppure la possibilità di difendersi, penso all’aspetto finanziario. La nostra famiglia è semplice, umile. Nostra madre è morta all’età di sessant’anni, 5 mesi prima dell’arresto di Beniamino. Mio padre aveva gravi problemi di salute. Si può solo immaginare che situazione economica ci fosse in casa”.

Ci racconta un po’ di suo fratello? Chi è Beniamino Zuncheddu e perché tutta la comunità di Burcei, il vostro paese, crede nella sua innocenza?

“Una persona tranquilla, serena e taciturna. In 33 anni di carcere non ha mai avuto un “rapporto”, mai uno screzio da segnalare. La conferma più grande arriva dai suoi compaesani che gli vogliono un grande bene, tutti lo sostengono. Non ho mai dubitato un solo secondo della sua innocenza”.

Il sindaco di Burcei, Simone Monni, ripete spesso: “Con Beniamino è finita in carcere un’intera famiglia”. È così?

“Viviamo un lutto continuo: io, mio marito e mia figlia, che ha appena 20 anni. Un dolore indescrivibile”.

Non ha perso un’udienza, un sit-in. Da Cagliari a Roma, in questi quasi 33 anni, lei c’è sempre stata. Trova questa forza da “guerriera” anche grazie alla sua gente, alla sua comunità?

“Sì, lotterò fino all’ultimo respiro per la sua innocenza. Burcei mi dà forza e sostegno, martedì a Roma eravamo una quarantina di persone. Lavoratori, uomini e donne che hanno bambini e impegni: eppure tutti vogliono dare il loro contributo, erano lì a manifestare vicinanza a noi e a Beniamino. Tutti credono nella sua innocenza, questa solidarietà è per noi fondamentale”.

In quella che in Sardegna è conosciuta come la “strage di Sinnai” sono state ammazzate tre persone, a colpi di fucile: Gesuino e Giuseppe Fadda, Ignazio Pusceddu. Una quarta, Luigi Pinna, era rimasta ferita ma si è salvata, ed oggi è il teste-chiave. Che rapporto aveva con le armi suo fratello Beniamino?

“Nessun rapporto. In casa nostra non è mai entrata un’arma. Oltretutto, mio fratello ha un problema fisico a una spalla, a un nervo, non sarebbe in grado di imbracciare un fucile. Basti pensare che non ha fatto il militare, è stato “riformato”“.

Augusta, ha ancora fiducia nella giustizia?

“Mio fratello è sfinito, non ne può più. È invecchiato tantissimo, è stanco. Io voglio ancora credere alla giustizia, l’ultima udienza mi aiuta a sperare. Sono molto credente, anche Beniamino ha trovato sostegno nella fede. Solo in questo modo si può sopportare tutta la sofferenza patita dalla nostra famiglia. Nessuna cifra al mondo può ripagare tutto questo enorme dolore”.