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di Liana Milella

La Repubblica, 22 maggio 2024

Eccole le parole chiave: permessi premio, semilibertà, liberazione condizionale, 45 giorni di pena in meno per ogni semestre scontato. Fanno parte del bagaglio di stampo garantista che l’Italia ha “consegnato” agli Usa, già quando a sollecitare il trasferimento di Chico Forti fu l’ex Guardasigilli Marta Cartabia. Sono le stesse che ora, nel primo atto giudiziario che lo riguarda - la sentenza della Corte d’Appello di Trento del 22 aprile di Ettore Di Fabio, Gabriele Protomastro e Giovanni De Donato - compaiono quando viene citata la convenzione di Strasburgo, testo chiave perché disciplina “il trasferimento delle persone condannate”, recepita nella legge del 1989.

Né equivoci, né imbrogli sottobanco nell’accordo Italia-Usa. Da ergastolano che ha già scontato 25 anni, l’ex surfista, col sì del giudice di sorveglianza, potrà fruire delle nostre norme. Messe sotto il naso degli americani, più e più volte. E lo dice subito Nicola Russo, l’ex capo del Dag, il Dipartimento dell’amministrazione di giustizia con Cartabia, oggi di nuovo giudice della Corte d’Appello di Napoli. “Già nel 2021 abbiamo rappresentato in maniera estremamente chiara quale sarebbe stato il regime penitenziario applicabile una volta riconosciuta la sentenza, che prevede dopo 25 anni la possibilità, dopo un altro anno, che il condannato acceda ai benefici, previo parere favorevole del giudice di sorveglianza che ne osserva il comportamento”.

Proprio così. Né sorprese. Né favoritismi. Forse indotti oltreoceano dall’accoglienza assai festaiola della premier. Ma basta leggere la convenzione di Strasburgo: “L’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato d’esecuzione e quest’ultimo è il solo competente per prendere tutte le decisioni appropriate”. Da qui non si scappa. Il costituzionalista di Roma Tre Marco Ruotolo ha certezze, ma pure un dubbio: “L’Italia si è impegnata a rispettare la pena, solo dopo 26 anni la liberazione condizionale e dopo 20 la semilibertà. Sarà possibile un’attività all’esterno tornando in cella la sera, e permessi premio. Scontato il parere attento del giudice di sorveglianza”. Ma Ruotolo ricorda quell’ergastolo “without parole”, senza liberazione condizionale. Che in Italia è possibile. Ma pure la criticità: “Si sta creando un clima favorevole che mette in crisi la condanna di uno Stato democratico riconosciuta dai nostri giudici …”. L’enfasi di Meloni all’arrivo? Ruotolo guarda lì.

Se il costituzionalista riconosce i “diritti” di Forti, il giurista della Statale di Milano Gian Luigi Gatta si attesta sul “nessun automatismo”, con un passo avanti: “Per la nostra giurisprudenza è pacifico che nel computo degli anni scontati si tenga conto di quelli all’estero. Nonché dei 45 giorni ogni sei mesi in caso di buona condotta. E a me paiono già sei anni. Il tribunale di sorveglianza chiederà agli Usa se la buona condotta c’è stata e le detrazioni possono essere applicate. In tal caso potrebbe accedere subito alla liberazione condizionale che comporta però un “sicuro ravvedimento” oltre al risarcimento ai parenti delle vittime. Le vedo improbabili nel suo caso”.

Ed eccoci ai dubbi. Quelli di Giovanni Maria Pavarin, una vita da magistrato di sorveglianza. “Il futuro di Forti mi richiama alla mente il lungo contrasto giurisprudenziale che esiste sulla compatibilità della liberazione condizionale, con il sicuro ravvedimento del condannato, e la dichiarazione d’innocenza, posto che sarà ben difficile spiegare all’uomo della strada come sia possibile ravvedersi da qualcosa che si dichiara di non aver commesso, ancorché la Suprema corte l’abbia talvolta ritenuto possibile…”. Restano allora i “permessi di necessità”. Come quello per la madre. E quelli premio. Ma la strada è lunga.