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di Ilario Lombardo

La Stampa, 23 gennaio 2023

La leader di Fratelli d’Italia ha paura che il confronto in atto possa cambiare gli equilibri nella maggioranza. Giorgia Meloni sta per prendere un aereo che la porta in Algeria. È ora di pranzo, nel dossier che le hanno preparato i diplomatici c’è tutto quello che deve sapere sul gas e sul piano per rendere l’Italia un hub energetico nel Mediterraneo e per tutta l’Europa, sugli accordi tra Eni e il colosso locale Sonatrach, sulle altre intese commerciali, sui bilaterali con il primo ministro e con il presidente algerino. Eppure è altrove che si sposta la sua attenzione. La maggioranza rischia di finire a pezzi sulla giustizia. I primi segnali sono preoccupanti. Il ministro Carlo Nordio è furibondo: si sente abbandonato dal partito che lo ha candidato, dalla leader che lo ha fortemente voluto nelle sue liste con la promessa di destinarlo al ruolo di Guardasigilli.

La settimana che è iniziata con la gioia per l’arresto del capo dei capi di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro non poteva finire peggio. Le dichiarazioni di Nordio sulla magistratura e sull’antimafia hanno lasciato ferite. La coalizione di governo sbanda per tre giorni e solo ieri a Meloni diventa chiaro che la situazione può sfuggirle di mano. La lettura dei giornali che raccontano la solitudine di Nordio e le contraddizioni nella maggioranza le rendono poco piacevole la mattinata. E la nota che Palazzo Chigi pubblica prima di partire per Algeri racconta proprio di questa ansia.

In realtà, Meloni sa bene cosa è successo. Sa bene che ci sono due anime militarizzate nella destra, inconciliabili tra di loro, una meno e una più attenta alle ragioni dei magistrati. Troppe voci differenti, senza un coordinamento e una linea chiara. Bisogna fare ordine. Fissare un cronoprogramma, che la presidente del Consiglio ha intenzione di discutere in settimana con il ministro della Giustizia. Anche perché su questo tema rischia di aprirsi una faglia che può spezzare i confini interni ed esterni della maggioranza. Il Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda non ha mai nascosto le simpatie per Nordio, e l’asse potrebbe favorire anche i berlusconiani più insoddisfatti dagli equilibri del governo. Alla Camera, durante le comunicazioni in Aula, a molti deputati non è sfuggito quell’annuire convinto del ministro mentre il deputato di Azione Enrico Costa illustrava il suo progetto di legge per limitare la pubblicazione delle intercettazioni sui giornali. Non solo. Nel giro massimo di un paio di settimane, la commissione Affari costituzionali dovrebbe calendarizzare l’altra proposta di Costa, sulla separazione delle carriere dei magistrati. Altro capitolo caro a Nordio, su cui è possibile una convergenza con i centristi e con Forza Italia, anche se la discussione sarà lunga e non porterà mai a una legge prima di due-tre anni. “Resta il fatto - spiega Costa - che noi continuiamo a sostenere le linee programmatiche del ministro, note a tutti da sempre e che Meloni conosceva benissimo prima di chiamarlo al governo. Forse è la premier ad aver cambiato idea”.

Per la riforma della giustizia Nordio ha un calendario chiaro in testa, con un occhio alla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza: “Prima - sostiene - voglio concentrarmi sugli interventi che favoriscono l’economia e gli investimenti”. Dunque, abuso d’ufficio e traffico di influenze. Ma già qui le idee sono diverse: Nordio è per abolire l’abuso, FdI è per limitarsi a modificarlo. Il Guardasigilli, poi, vorrebbe passare alle intercettazioni. Per limitarle il più possibile. Non proprio quello che hanno in programma di fare i falchi del partito della premier. Tutt’altro. Il sottosegretario alla Giustizia di FdI, Andrea Delmastro, continua a ripetere che l’argomento “è chiuso” e che al massimo le nuove norme colpiranno “gli abusi della stampa”. I rapporti del sottosegretario con Nordio sono stati segnati da continui distinguo, che hanno innervosito il titolare di Via Arenula. Prova ne è anche il confronto acceso tra i due nel cortile della Camera, notato durante le votazioni sul Csm.

Negli ultimi giorni, Nordio ha avuto più di una telefonata con Meloni. A lei ha ribadito che non ha intenzione di dimettersi ma anche che non tradirà mai il suo amore per il garantismo. Vuole capire però se i membri del governo sono con lui. Perché, sostiene, è da alcune componenti dell’esecutivo che sente mancare il sostegno e la fiducia. E non si riferisce solo a Delmastro, ma anche a chi abita quotidianamente le stanze di Palazzo Chigi. Due nomi fanno in queste ore fonti vicine al ministro: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e il vice capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (Dagl) Roberto Tartaglia.

Entrambi non hanno apprezzato le parole di Nordio in Aula su mafia e magistrati, e avrebbero voluto che Nordio cedesse sull’opportunità di inserire l’aggravante mafiosa nella riforma Cartabia sulla procedibilità d’ufficio in un decreto d’urgenza. Il ministro, invece, ha preferito limitarsi a un disegno di legge. Mantovano è un giurista, molto stimato da Meloni, un magistrato di Cassazione che, ai tempi in cui era sottosegretario all’Interno - nei governi Berlusconi - si spese molto per le campagne antimafia e a favore delle leggi a protezione dei testimoni di giustizia. Tartaglia anche è un magistrato e ha partecipato alle indagini sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia, niente di più lontano per cultura e impostazione da Nordio: chiamato dall’ex ministro grillino Alfonso Bonafede a ricoprire il ruolo di vice capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è stato poi spostato da Mario Draghi al Dagl, a Palazzo Chigi, e qui confermato da Meloni.