sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 22 giugno 2023

Per la concessione del permesso premio non deve essere valutata l’ammissione di responsabilità del condannato, ma piuttosto l’accertamento della rescissione dei legami con il suo gruppo mafioso di appartenenza e l’assenza di un ripristino con esso. La Cassazione ha emesso di recente la sentenza numero 23556 del 2023, che fornisce ulteriori chiarimenti sull’argomento riguardante la concessione del permesso premio ai detenuti condannati all’ergastolo ostativo. È importante ricordare che, grazie alle pronunce della Consulta, la qualifica ‘ ostativo’ non è più valida.

Ripercorriamo i fatti. L’ordinanza emessa dal magistrato di Sorveglianza di Roma il 25 marzo 2022 ha respinto la richiesta di permesso premio presentata dal condannato. Tale decisione si basava sulla natura dei reati commessi dal soggetto, tra cui tre omicidi, la violazione della legge sulle armi e la ricettazione di tali armi. È importante sottolineare che tali reati sono stati perpetrati in un contesto di criminalità organizzata, nello specifico nella ‘ndrangheta, il che ha comportato l’applicazione del regime detentivo differenziato.

Successivamente, il tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo presentato dal condannato contro la decisione del magistrato di Sorveglianza. Il Tribunale ha evidenziato che la Corte di assise di Cosenza, contrariamente alla tesi del condannato, ha confermato l’aggravante prevista dall’articolo 7 del decreto legge del maggio 1991 per i tre omicidi menzionati, considerandoli parte di una sanguinaria faida di ‘ ndrangheta e inserendoli in un contesto di criminalità organizzata. Il Tribunale ha anche sottolineato la persistente protesta di innocenza del condannato, che ha impedito una revisione critica del proprio passato criminale, e ha riconosciuto la regolarità della sua condotta in carcere. Nonostante il condannato avesse conseguito una laurea durante la detenzione e ricevuto encomi per il suo impegno lavorativo, ciò non è stato sufficiente per sovvertire la decisione del magistrato di Sorveglianza.

Il condannato ha presentato un ricorso per Cassazione tramite il proprio difensore, denunciando violazioni e erronea applicazione dell’articolo 30- ter della legge 354 del 1975 e mancanza di motivazione. La difesa ha sottolineato il percorso carcerario encomiabile del condannato, compreso il conseguimento di una laurea e il riconoscimento per l’impegno dimostrato. La Cassazione ha accolto il ricorso, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. Inoltre, ha sottolineato che il giudice di sorveglianza deve valutare in modo concreto elementi di fatto individualizzanti riguardanti il percorso rieducativo del detenuto.

Secondo la Corte costituzionale, il detenuto per reati di prima fascia, senza una collaborazione con la giustizia, è soggetto a una presunzione relativa di perdurante pericolosità. Tuttavia, questa presunzione può essere superata mediante l’acquisizione di elementi di prova che escludano sia l’attualità dei legami con la criminalità organizzata sia il pericolo del loro ripristino.

La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito la distinzione tra la prova dell’assenza di collegamenti duraturi con l’ambiente criminale e la prova negativa del pericolo di ripresa di tali legami. È stata considerata illegittima la decisione del giudice di sorveglianza che dichiari l’inammissibilità della richiesta di permesso premio senza specifiche allegazioni di elementi di prova. È sufficiente l’allegazione di elementi fattuali che, anche solo logicamente, contrastino con la presunzione di pericolosità.

La sentenza della Cassazione mette quindi in luce l’importanza di un’analisi dettagliata e di una valutazione individualizzata dei fatti nel processo decisionale riguardante i permessi premio per i detenuti coinvolti in reati gravi legati alla criminalità organizzata. La necessità di valutare in modo approfondito il percorso carcerario del detenuto è finalizzata a determinare se tali elementi assumano o meno un significato univocamente favorevole.

Secondo i giudici supremi, la valutazione positiva non deve necessariamente coincidere con la presenza di un profondo e personale ravvedimento da parte del condannato. Piuttosto, è importante riscontrare la propensione del detenuto a interrompere i collegamenti con il mondo criminale e a evitare di ristabilirli. La prospettiva dinamica della rieducazione richiede un esame ampio e attento dei comportamenti manifestati dal detenuto nel corso del suo percorso carcerario.

È necessario considerare l’insieme complessivo degli elementi emersi nel percorso carcerario del detenuto. Ciò implica l’analisi di vari aspetti, come il comportamento in cella, la partecipazione attiva a programmi di riabilitazione, l’acquisizione di competenze professionali o educative e l’assenza di comportamenti che indichino una persistente connessione con il mondo del crimine. È quindi fondamentale analizzare l’insieme complessivo degli elementi emersi per valutare se il detenuto dimostri un cambiamento effettivo e una volontà sincera di reintegrarsi nella società, garantendo al contempo la protezione della comunità e la prevenzione della recidiva.