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di Luca Rampazzo

genteeterritorio.it, 2 luglio 2024

Uno dei pilastri del sistema carcerario è il reinserimento del detenuto. Questo passa, anche, da attività lavorative svolte in carcere. Il lavoro consente di attenuare una vita già molto difficile e dà anche la possibilità di guadagnare qualcosa. O almeno dovrebbe. Già, perché lo Stato non perde le proprie “buone” abitudini e ogni tanto non paga. Vuoi per la mancanza di organizzazione, di fondi o per qualsiasi altro motivo. Al detenuto viene detto di attendere pazientemente. Il problema è che, fino alla scorsa settimana, se il detenuto pazientava troppo, lo Stato si rifiutava proprio di pagarlo. La prescrizione dei soldi dovuti per lavoro durante il carcere, sosteneva il Ministero della Giustizia, si iniziava a calcolare dalla fine del periodo (suddivisione del tempo carcerario) di riferimento. Questo perché, sosteneva lo Stato, ogni lavoro era un contratto separato.

Va da sé che mentre sei in carcere magari i soldi, la voglia e la capacità di fare ricorso non ce l’hanno tutti. Quindi il Ministero risparmiava ogni anno milioni di euro. La scorsa settimana è cambiato tutto, come apprendiamo dallo Studio Legale Tavernese. “Con la sentenza della scorsa settimana, la Suprema Corte ha messo un punto fermo su una annosa vicenda: il diritto del detenuto ad essere pagato non si prescrive prima della scarcerazione. Una pronuncia molto importante, perché riconosce i diritti di migliaia di detenuti che il Ministero della Giustizia prova da decenni a non pagare. La storica sentenza della Corte di Cassazione, n. 17478 del 25 giugno 2024, che stabilisce che i crediti di lavoro dei carcerati non si prescrivono fintanto che sono detenuti.

Il rapporto di lavoro dei detenuti è univoco e continuativo, indipendentemente dalle eventuali interruzioni intermedie, pertanto la prescrizione dei relativi crediti resta sospesa fino alla cessazione dello stato di detenzione. Questo il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte all’esito di un difficile contenzioso che ha visto, finalmente, prevalere il sacrosanto diritto dei detenuti al riconoscimento di tutto quanto spettante per il lavoro svolto alle dipendenze degli Istituti penitenziari.

Una decisione fondamentale che consentirà ai carcerati di vedersi riconosciute, una volta per tutte, le retribuzioni effettivamente spettanti e che mette fine ad un’ingiustizia perpetuatasi per troppo tempo”. In sostanza: se hai lavorato puoi fare causa allo Stato per gli stipendi non pagati percepiti pure negli anni ‘80. Rivalutati e con gli interessi se sei uscito da meno tempo di quello previsto dalla prescrizione per i crediti di lavoro. Non è poco. Né come tempo né, soprattutto, come soldi. Nel grande deserto del sistema carcerario italiano, finalmente una buona notizia.