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lanuovacalabria.it, 23 marzo 2024

Abbiamo chiesto al Garante dei diritti dei detenuti del comune di Catanzaro, Luciano Giacobbe, di aprirci una finestra sul grave fenomeno dei suicidi nelle carceri italiane e di parlarci delle problematiche e criticità riscontrate dall’osservazione diretta dei luoghi di detenzione locali e della vita intramuraria dei detenuti. Il Garante Luciano Giacobbe evidenzia che il fenomeno dei suicidi fa emergere le tante criticità e problematiche del nostro sistema penale e carcerario e denota, a riguardo, il fallimento della politica italiana, sempre più distante dalla realtà in cui vivono giornalmente i detenuti all’interno degli istituti penitenziari ove la percentuale più alta della popolazione carceraria è rappresentata da poveri, tossicodipendenti, extracomunitari, persone con problematiche di salute e mentali. Il Garante spiega, infatti, che una parte di questi detenuti regge il peso della detenzione intramuraria facendo uso di psicofarmaci, oltre il 70 per cento dei detenuti ha disturbi psicologici o clinico-psichiatrici.

Le istituzioni non riescono, allo stato, ad offrire alle persone private della libertà una efficiente funzione rieducativa della pena per un dignitoso reinserimento sociale, al contrario si registra in molti istituti penitenziari un aumento di casi di atti di autolesionismo e suicidi.

Nel 2022 si sono verificati 84 suicidi nelle carceri italiane; nel 2023 sono state 69 le persone detenute che si sono tolte la vita e nel 2024 stiamo raggiungendo cifre record con ben 26 suicidi dall’inizio dell’anno e nel solo mese di gennaio 14, il doppio rispetto al mese di gennaio 2023.

Le cause di tutti questi suicidi vanno certamente ricercate nelle tante lacune del nostro sistema punitivo, a cominciare dalla funzione rieducativa della pena che, proprio nel tentativo di conseguire pienamente la sua finalità e quindi il reinserimento sociale - spiega il Garante - deve avere avvio dalla fase iniziale della pena per i nuovi giunti e non, come spesso accade, immediatamente prima del fine pena. In quest’ottica, il Garante Giacobbe ritiene che andrebbe prevista la realizzazione, in ogni istituto penitenziario, di reparti ad hoc per i nuovi giunti che prevedano e valorizzino: l’accoglienza nell’ambiente penitenziario ove ogni detenuto venga informato sui diritti e le regole all’interno del penitenziario; l’organizzazione di colloqui con psicologi e/o psichiatri con adeguati percorsi assistenziali personalizzati. In questa prospettiva, il Garante Giacobbe evidenzia la necessità che i reparti dei nuovi giunti vengano, ad opera delle istituzioni, migliorati per costituire luoghi di accoglienza e non di intimidazione. L’introduzione alla vita dell’istituto deve avvenire in maniera lenta e graduale, affinché il nuovo giunto abbia la possibilità di ambientarsi, anche psicologicamente, prima di tutto alla sua nuova condizione e, secondariamente, alla realtà detentiva. Il Garante Giacobbe sottolinea poi che: “ il carcere può realmente diventare per le persone detenute il luogo di risocializzazione e di inserimento sociale attraverso il potenziamento di specifici programmi contenenti attività culturali, ricreative, sportive, religiose, lavorative, d’istruzione e formazione. La vita interna del detenuto dovrebbe essere il più possibile improntata a un modello comunitario, dove le camere detentive servano esclusivamente per il riposo notturno e la giornata sia densa di attività significative. Ciò per prevenire l’autolesionismo, educando il reo alla socialità, al rispetto di se e dell’altro attraverso attività specifiche che occupino la sua dimensione umana e lo valorizzino, che diano la concreta prospettiva al detenuto di riappropriarsi della sua dignità per non farlo sentire socialmente emarginato. Pertanto, la formazione in carcere deve essere organizzata, innanzitutto, alla preparazione di figure tecniche e professionali richieste dal mercato del lavoro. Il lavoro è considerato, infatti, l’autentico presupposto del reinserimento sociale dell’ex detenuto non soltanto dal punto di vista meramente economico ma soprattutto perché esso aumenta l’autostima e la gratificazione personale. D’altra parte, le testimonianze di ex detenuti confermano l’importanza dell’esperienza di lavoro sia dentro l’istituto penitenziario che all’esterno”.

Il suicidio di una persona privata della libertà costituisce il fallimento più evidente del ruolo punitivo dello Stato che subisce una delegittimazione allorquando l’autorità statale non riesce, anche per mancanza di adeguati mezzi, a bilanciare il suo potere punitivo con l’esigenza (il diritto/dovere) di salvaguardare il corpo, ossia la salute fisica e mentale del reo. Ne deriva l’inadeguatezza del carcere ad affrontare il disagio delle persone che sono collocate al suo interno. A riguardo, sottolinea il Garante Giacobbe: “Lo shock da carcerazione si conferma come un’esperienza, alle volte, letale per soggetti fragili, non in grado di adottare efficaci strategie di adattamento di fronte alla drammaticità della situazione che si trovano ad affrontare”.

Un fenomeno, questo, dei suicidi certamente accelerato dalla straordinarietà degli eventi che abbiamo vissuto in questi ultimi anni ma che comunque è conseguenza anche di pregresse storture perché determinato dall’assenza di investimenti nell’edilizia penitenziaria, dalla mancata approvazione di riforme ad hoc dell’ordinamento penale, dalla mancata realizzazione e attuazione delle misure alternative alla detenzione e dalla progressiva carenza di personale penitenziario (il personale penitenziario è sotto organico, ad esempio vi è carenza di medici e infermieri, di agenti di polizia penitenziaria, mancano molti funzionari giuridico-pedagogici ed educatori).

Il Garante Giacobbe chiarisce che, nonostante il lavoro e l’istruzione siano un’attività trattamentale fondamentale per le persone detenute, all’interno del carcere lavora poco meno di un terzo della popolazione detenuta e solamente 7 detenuti su 100 partecipa a corsi di formazione professionale e 3 su 10 ai corsi scolastici. La causa di questi suicidi va ricercata anche in altre problematiche da sempre inevase: l’emergenza sanitaria e il sovraffollamento carcerario.

Per quanto riguarda la problematica del sovraffollamento carcerario, anche se in un solo anno a causa del Covid-19 la presenza in carcere era diminuita di circa 8 mila unità nell’anno 2020, oggi abbiamo superato, come presenze in carcere, l’anno 2015, infatti i detenuti presenti nelle carceri italiane sono oggi più di 62mila, a fronte di 51mila posti regolamentari e 47mila posti realmente disponibili. Il sovraffollamento carcerario è da tempo una piaga sociale che affligge il nostro paese, non è un caso che l’Italia nel 2013 sia stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per le condizioni degradanti e inumane a cui sono stati sottoposti numerosi detenuti risarciti con ingenti somme di denaro pubblico. Oggi il tasso di affollamento in Italia supera il 150 %, con un picco del 190 % a Latina, Foggia, Como, Taranto e al San Vittore a Milano, per arrivare addirittura al 200% al carcere di Brescia. L’Italia si conferma, pertanto, tra i Paesi con le carceri più affollate dell’Unione Europea.

In Calabria abbiamo un sovraffollamento carcerario in 9 istituti penitenziari su 12, anche se abbiamo numeri leggermente migliori rispetto ad altre regioni italiane. Presso la Casa Circondariale Ugo Caridi di Catanzaro abbiamo una popolazione carceraria al 96%.

Inoltre la causa di questi suicidi va ricercata anche nell’emergenza sanitaria all’interno degli istituti penitenziari. Diciamo che la pandemia ha messo a dura prova l’organizzazione dei servizi sanitari in carcere e le stesse relazioni tra Amministrazione penitenziaria e Amministrazioni sanitaria.

Ebbene oggi la situazione sanitaria dei detenuti è intollerabile ed è sotto gli occhi di tutti che il carcere in Italia è un luogo malsano e le persone ristrette hanno spesso bisogno di visite specialistiche e di cure rilevanti ed urgenti che non sempre vengono effettuate.

Nelle strutture penitenziarie italiane il rapporto medico - detenuto è pari a 1 su 315 detenuti, basti pensare che secondo la “Simpse” (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria) il carcere resta un territorio di scambio di patologie e infezioni e ancora molti sono i casi di soggetti sieropositivi all’Hiv o colpiti da epatite C o tubercolosi. Ecco perché bisogna adeguare le strutture e gli spazi detentivi alla prevenzione della diffusione di queste malattie infettive; garantire ai detenuti le visite specialistiche in tempi ragionevoli; integrare i servizi socio-sanitari per la presa in carico e l’accoglienza all’esterno dei detenuti con particolari fragilità.

Oggi, quindi, al fine di arginare il fenomeno dei suicidi bisogna garantire un’efficace assistenza sanitaria in carcere dei detenuti con disturbi mentali quando non giustifichino la sospensione della pena. Altro aspetto negativo, concausa di tutti questi suicidi, continua il Garante, sono gli ambienti carcerari che costringono una intera popolazione a vivere in spazi angusti e a stretto contatto tra di loro e dove la situazione è al limite della tollerabilità.

Basti pensare che nel 39% degli istituti penitenziari vi sono celle che non rispettano i 3 mq di superficie calpestabile per ogni detenuto, nel 44% delle carceri italiane vi sono celle senza acqua calda, nel 56% vi sono celle senza docce e le docce comuni, presenti nei corridoi, sono infatti spesso ricoperte da muffa e infiltrazioni. Le criticità riguardano anche le condizioni strutturali degli istituti penitenziari che risultano sporchi, vetusti, con problemi strutturali, freddi d’inverno e pieni di infiltrazioni. Positiva è stata, di recente - sottolinea il Garante Giacobbe - la pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale sulla riservatezza dei colloqui e sulla tutela dell’affettività dei detenuti nelle sue varie forme.

Il Garante Luciano Giacobbe spiega che: “per contrastare il fenomeno dei suicidi bisogna fare rispettare il principio della territorialità della pena, aumentare i colloqui e le telefonate in carcere tra detenuti e i propri familiari”. Il Garante Giacobbe auspica che nel 2024 vi sia, a livello politico e nazionale, un proficuo dibattito sulle problematiche e criticità riscontrate nelle nostre carceri e sulle possibili iniziative da intraprendere per arginare questo terribile fenomeno dei suicidi, nella consapevolezza di necessari ed urgenti interventi legislativi in materia.