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di Alessandro Russello

Corriere della Sera, 30 settembre 2023

Migrazioni e occasioni: mentre gli italiani cercano stipendi più alti al nord e all’estero, chi arriva aspira a prendere il loro posto. C’è sempre un sud al sud di ogni sud. Per dire, a parte chi continuerà a stare sempre peggio, che gli ultimi possono diventare penultimi e invertire la rotta della vita, spesso approdata via mare dopo aver visto in faccia la morte. I “nostri” penultimi sono arrivati al nord con i bus da Lampedusa a piedi scalzi, una maglietta al salmastro e un cellulare con dentro la loro storia e il loro destino (altro che “guarda quelli lì, hanno le sneakers e perfino l’iPhone”, unica forma di comunicazione con il mondo che hanno lasciato). Ora i bus cominceranno a guidarli loro perché ormai sempre meno italiani -  diciamo molti di quelli che si ritengono “terzultimi” -  vogliono fare gli autisti nelle aziende pubbliche. Insultati, aggrediti, sottopagati.

Capita che a Padova sia stata avviata la formazione di alcune decine di richiedenti asilo grazie a un’Academy messa in piedi da Busitalia Veneto, società del Gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce il trasporto locale. Insomma, presto al volante ci saranno (anche) i migranti. Più che “sostituzione etnica”, come direbbe qualcuno, “sostituzione tecnica”.

Certo non basterà. Ma aiuterà, visto che i primi veneti, per la legge del contrappasso, pensano di emigrare a loro volta dal sud al nord destinazione Alto Adige, Provincia-Stato a regime speciale, nove decimi di entrate fiscali trattenute in loco grazie ad un’autonomia spinta conquistata nel dopoguerra con patti scolpiti nel marmo della Costituzione. Tradotto, a Bolzano per un autista girano buste paga con mille euro netti in più rispetto al Veneto. Insomma, oltre al sud, scopriamo che c’è anche un nord al nord di ogni nord, gioco non solo geo-lessicale che per non farsi mancare nulla ci dà l’ultima (ultima?) suggestione di quanto la mobilità sia un fenomeno senza confini.

Perché, e non è uno scioglilingua, il nord di ogni nord esiste pure per gli altoatesini, a loro volta attratti dalle buste paga delle aziende di trasporti austriache. A Bolzano, con uno stipendio di duemila euro e passa, oltre cento autisti si sono dimessi perché in Tirolo si guadagna di più. Di questo passo finiremo al Polo Nord, ma tant’è.

La concorrenza sul personale -  per non parlare di medici, infermieri, camerieri o saldatori -  ormai ha raggiunto vette impensabili. Invertendo le stesse leggi della domanda e dell’offerta con la consegna nelle mani del lavoratore di un potere di contrattazione individuale che sembra sfuggire al controllo aziendale e soprattutto sindacale.

Naturalmente tutto ciò accade finché ci sono “più soldi”, nel nostro caso disponibili nelle regioni o province dotate della specialità costituzionale che è l’autonomia (o le autonomie). Per cui uno potrebbe chiedersi: com’è possibile, tanto per non parlare solo di autisti, che a qualche metro dal confine un medico o un professore siano pagati centinaia di euro in più con annessi e connessi tipo l’abitazione? Quando si dice no alle gabbie salariali (il dibattito è aperto) si dovrebbe sapere che esistono già e lo schema è esattamente questo: più soldi e più welfare in un mondo dove il mercato del lavoro lo fa la convenienza, se non altro nel pubblico. Se al sud il costo della vita è del 30 per cento in meno -  e lo è -  chi lo fa fare a un neoprofessore di Caltanissetta di venire a vivere a Treviso o Lambrate per non dire Milano, peraltro “minacciate” dal dumping delle vicine Trento o Bolzano?

Aboliamo le specialità e pareggiamo i conti? Difficile. Sarebbe probabilmente ingiusto e problematico togliere le autonomie, frutto di delicati percorsi storici e di “cristallizzazioni” politico-finanziarie (quante volte i partiti “italiani” in Parlamento hanno avuto bisogno dei vori dell’Svp?).

Dovrebbe essere il contrario, fare diventare le regioni a statuto ordinario “un po’ più speciali”. Ma anche qui la strada è piena di ostacoli. Per i detrattori della legge sull’autonomia a firma Calderoli -  in lavorazione fra commissioni parlamentari e comitati di saggi -  sarebbe una secessione del Nord. Per chi invece ci crede -  dai governatori di centrodestra fino a qualcuno del centrosinistra (seppur oggi appartatosi per sopravvenuta gerenza Schlein) l’avvio di un’assunzione di responsabilità e di buongoverno con i quali recuperare risorse senza chiederne ulteriori allo Stato.

Purtroppo il dibattito sulla modifica del Titolo quinto, peraltro avviato dal centrosinistra che del federalismo ha una sorta di copyright (la riforma porta la sua firma) si è “politicizzato” e l’eventuale approvazione di una qualsiasi piattaforma autonomista probabilmente non produrrà un granché. A quando un Paese di “uguali” fondato sulla responsabilità e la solidarietà?