sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Tiziana Maiolo

Il Dubbio, 30 dicembre 2023

Gli inquirenti non hanno mai chiesto l’autorizzazione al Senato ed è chiaro che il bersaglio era il parlamentare Esposito e non il terzo interlocutore. “Sono state violate le leggi e la Costituzione, lo dice l’Alta Corte. Ora mi aspetto l’intervento del ministro Nordio, perché mandi gli ispettori a verificare quel che succede e che è successo dal 2015 alla Procura di Torino. Ma chiedo anche iniziative del ministro Crosetto, dell’ex guardasigilli Andrea Orlando e di parlamentari piemontesi come il leghista Riccardo Molinari ed Enrico Costa, che conduce tante battaglie meritevoli, ma sul mio caso non ha ancora detto nulla”.

Qualche sassolino ancora c’è, ma i tempi dell’umiliazione e della rabbia sono passati. Dopo sette anni l’ex senatore Stefano Esposito vuol pensare positivo, dopo la sentenza n. 227 della Corte Costituzionale che ha sotterrato in un colpo solo tutta l’attività di intercettazione cui è stato sottoposto, per ben cinquecento volte, tra il 2015 e il 2018 e che è stata la base di una richiesta del pm e poi del decreto di rinvio a giudizio del gip. Tutto annullato, tutto illegittimo.

E sarebbe anche ora che qualche deputato o senatore si facesse sentire e difendesse le prerogative del Parlamento. Quanto meno oggi, dopo la presa di posizione così netta, così rigorosa, della Consulta. Non solo, ma se l’ex senatore del pd volesse mostrare di aver stravinto, e soprattutto il suo legale, l’avvocato Riccardo Peagno, potrebbe esibire il dato di fatto che l’Alta Corte nella decisione sia andata “oltre il petitum”. Perché, se l’ascolto delle prime telefonate tra il parlamentare e l’imprenditore Giulio Muttoni, indagato in un’inchiesta di ‘ndrangheta, fino al 5 agosto 2015, poteva essere considerato come “occasionale, la musica era decisamente cambiata in seguito. Tanto che, dice la sentenza della Consulta, era diventato chiaro che da quel momento il vero bersaglio dell’attività investigativa della procura di Torino era proprio il senatore Esposito.

In ogni caso sarebbe stata necessaria la preventiva autorizzazione del Senato, ma il carattere mirato dell’indagine nei confronti del parlamentare emerge nel momento in cui vengono citati, negli atti di indagine, “specifici indizi di reità che si traducono nella richiesta di approfondimenti investigativi”. E questo aldilà della formale iscrizione del senatore nel registro degli indagati. Ma questa è un’inchiesta che non avrebbe dovuto neanche iniziare. Non dimentichiamo che l’ indagine era nata come “mafia al nord”, poi diventata “bigliettopoli”, infine aveva visto il coinvolgimento del senatore Esposito per via di un prestito del 2010, restituito un anno dopo, ottenuto tramite una banca di Roma, dal suo amico carissimo Giulio Muttoni.

Proprio quel primo atto, considerato dalla procura di Torino come corruzione, costituirà poi il primo inciampo per i magistrati torinesi, il pm Gianfranco Colace e la gip Lucia Minutella, perché nel settembre scorso la Cassazione trasferirà nella capitale, dove avrebbe dovuto stare dal principio, il processo. Che dovrà quindi partire daccapo, ammesso che si arrivi mai alla sua celebrazione. Già su questo punto ci sarebbe da porre una domanda al ministro Nordio. La violazione delle norme sulla competenza territoriale, che fu una costante a Milano ai tempi delle inchieste su tangentopoli, merita o no che gli ispettori ci mettano il naso?

Non è questione di lana caprina, se a questo si aggiunge il fatto che centinaia di intercettazioni che furono alla base dell’attività investigativa del pm e delle decisioni del gip-gup erano illegittime. E che questi magistrati non solo non chiesero mai, come prescriveva la legge, l’autorizzazione al Senato, ma compirono atti investigativi che avevano a oggetto come “bersaglio” proprio il senatore Esposito e non il terzo interlocutore. Occasionali, come ha sempre sostenuto la procura? Pare proprio di no, almeno dal 5 agosto 2015, ce lo dice la Corte Costituzionale.

E c’è di più. Si è scoperto una decina di giorni fa, quando sono stati messi a disposizione gli atti per chiusura indagini, che in un’altra inchiesta torinese, quella sullo spionaggio industriale che riguarda Riccardo Ravera, esiste un faldone pieno zeppo di telefonate tra Stefano Esposito e Giulio Mutoni. Che cosa c’entrano con quell’inchiesta? Assolutamente niente. Atti depositati, oltre a tutto, proprio negli stessi giorni in cui la Consulta stava per rendere la propria decisione. E nel fascicolo c’è anche il nome di un altro parlamentare, non indagato, ma il nome c’è. E speriamo non venga reso pubblico, per la tutela sua e del Parlamento.

C’è sufficiente materia per inviare gli ispettori a Torino, ministro Nordio? Che cosa è successo nel capoluogo torinese a partire dagli anni in cui il procuratore si chiamava Armando Spataro, ormai pensionato come il successore Anna Maria Loreto, fino a oggi con l’ufficio retto dalla facente funzioni Enrica Gabetta? Inoltre. Dopo il gesto di serietà e fedeltà alle istituzioni dell’ex presidente del senato Pietro Grasso, che non solo fu in prima linea perché il parlamento presentasse il conflitto di attribuzione alla Consulta, ma si attivò presso il procuratore generale, che fine ha fatto la procedura per arrivare all’azione disciplinare nei confronti del pm Gianfranco Colace e della gip Lucia Minutella?

Per ora si sa solo che, dopo l’intervento del procuratore generale presso la Cassazione è stata avviata la pratica per l’incolpazione dei due magistrati. Poi silenzio di tomba, salvo un intervento a gamba tesa dei magistrati di Area a difesa dei colleghi torinesi e contro il procuratore della Cassazione accusandolo di essersi accodato al ministro Nordio (già sospetto per il “caso Renzi” e l’invio degli ispettori a Firenze) in “una deriva che rischia di compromettere irreparabilmente l’indipendenza della magistratura quando indaga sui potenti”. Ci risiamo. Ora la parola al ministro.