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di Franco Adriano

Italia Oggi, 22 settembre 2023

Dopo i rave party, le pene più severe per i piromani, per il reato di istigazione sul web, per il reato di gestazione per altri, per le violenze al personale scolastico, mercoledì il reato di omicidio nautico, equiparato a quello stradale, è entrato nell’ordinamento italiano. Il testo diventato legge, pressoché all’unanimità, era di iniziativa parlamentare, ma come per le precedenti iniziative di natura governativa relative all’inasprimento delle pene, è stato sospinto dall’onda emozionale della cronaca. In questo caso, la tragedia di Umberto Garzarella e Greta Nedrotti travolti e uccisi nel 2021 da un motoscafo sul lago di Garda.

Ora, più a mente fredda, e senza infierire sugli insignificanti effetti deterrenti sulla realtà che hanno avuto il cosiddetto Codice Rosso sui femminicidi del 2020 oppure la più recente stretta per l’immigrazione clandestina, si può osservare quanto sia vera la vulgata che tanto a pagare sono sempre e soltanto gli stessi. Triste affermarlo, ma dietro le sbarre ci finiscono e ci restano soltanto i poveracci.

L’Associazione Antigone ha toccato un tema scabroso, ripreso quasi da nessuno, sul fatto che le carceri italiane sono popolate quasi esclusivamente da immigrati e meridionali. Al 30 giugno ‘23 il 45 per cento dei carcerati proviene dalle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia mentre il 35 per cento sono immigrati. Lungi l’idea razzista che le due categorie abbiano una più spiccata indole naturale criminale, di certo tutti costoro godono di redditi bassi o assenti nonché di scarsa educazione: il carcere non da oggi è il riflesso dell’emarginazione sociale. Resta da capire perché il legislatore si dà tanta pena per prevedere sulla carta ancora la detenzione forzata come soluzione a tutti i mali.