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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 27 settembre 2023

Ennesima sentenza della Cassazione che conferma il risarcimento di 7mila euro per mancanza di spazi vitali. E il sovraffollamento nel frattempo è in crescita. La Cassazione ha recentemente emesso una sentenza importante riguardante un caso di detenzione in condizioni inumane e degradanti a causa della mancanza di spazio vitale nella cella. I giudici supremi, i quali hanno respinto il ricorso presentato dal Ministero della Giustizia, hanno riconosciuto un risarcimento significativo al detenuto Wilfredo Luis Tiredo.

L’uomo era stato detenuto presso la Casa circondariale di Bergamo, dove aveva vissuto in una cella con uno spazio vitale di appena 2,6 metri quadrati. Queste condizioni sono state giudicate inumane e degradanti.

Il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha emesso un’ordinanza riconoscendo a Tiredo un risarcimento di 7.024 euro per i 878 giorni di detenzione vissuti in queste condizioni. Il Ministero della Giustizia, tramite l’Avvocatura dello Stato, ha presentato un ricorso contro questa decisione, affermando che non era stata data adeguata considerazione ai ‘fattori compensativi’. Il Ministero ha sostenuto che nonostante le condizioni nella cella di detenzione fossero anguste, vi erano altre condizioni migliori nell’istituto penitenziario di Bergamo.

Ad esempio, le camere di detenzione erano dotate di finestre, i servizi igienici erano forniti di finestre e accessibili in modo riservato, e le docce avevano acqua calda. Inoltre, erano disponibili spazi comuni, l’assistenza sanitaria era garantita e c’era un’offerta formativa e di attività per i detenuti.

La Cassazione ha esaminato il ricorso del Ministero della Giustizia e ha respinto le sue argomentazioni. Il Tribunale di sorveglianza aveva giustamente riconosciuto che la durata prolungata della detenzione senza adeguati spazi vitali costituiva una violazione dei diritti umani. Secondo la Corte suprema, la mancanza di spazi adeguati nella cella dove il detenuto aveva trascorso 878 giorni non poteva essere compensata da altri fattori positivi presenti nell’istituto penitenziario. La sentenza si basa sui principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la presunzione di trattamento carcerario inumano e degradante può essere superata solo se vi sono effetti cumulativi positivi che compensano la ristrettezza degli spazi in cella. La brevità della durata della detenzione, condizioni carcerarie dignitose e la possibilità di movimento al di fuori della cella attraverso attività adeguate possono permettere di superare questa presunzione, ma nel caso in cui la violazione sia protratta per un lungo periodo, come in questo caso, non è possibile compensarla con altri fattori.

La confusione sul parametro di nove metri quadri. L’ennesima decisione che conferma i risarcimenti ai detenuti per “condizioni disumani e degradanti” riporta in luce la questione grave del sovraffollamento. Purtroppo, come è accaduto nel passato, qualcuno tenta a far passare l’idea che il sovraffollamento è virtuale, perché la capienza regolamentare citata nei rapporti del Dap si basa sui posti calcolati sulla base del criterio di 9 mq per il primo detenuto più 5 mq per gli altri. Vista così sembra che effettivamente il sovraffollamento sia dovuto dal fatto che i detenuti stanno troppo larghi in cella. Ma allora perché invece risulta tutt’altro e le sentenze della cassazione confermano la mancanza di spazio vitale?

Qualcosa non torna, quindi cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Il parametro dei 9 mq è solo sulla carta. Non si può fare un discorso puramente geometrico, perché in questo modo astrattamente potremmo mettere diversi detenuti in una unica cella e ciò non è possibile farlo concretamente, a meno che non si abbattano le mura per fare un enorme camerone. Per capire meglio, bisogna comprendere che lo spazio disponibile di tre metri quadrati per ogni persona è la soglia minima al di sotto della quale scatta la violazione del diritto umano (è accaduto con la sentenza Torreggiani) e non la si può considerare uno standard.

In Italia, il parametro di riferimento è di 9 metri quadrati che vale per il primo arrivato in una cella, più 5 metri per ogni nuovo detenuto e in celle che prevedono al massimo 4 posti. Questo parametro, che per altro è quello di abitabilità delle abitazioni civili, è chiaramente eccessivo. Basterebbe applicare il parametro della Commissione Europea per la prevenzione della tortura: 7 metri quadrati, più 4 per ogni nuovo detenuto in una cella. Anzi, ultimamente si calcola che 6 metri quadrati, più 4 quindi, e quindi in 14 metri quadrati ci possono vivere 4 persone. Ma bisogna appunto essere molto rigidi e controllare lo standard: non si può dire che abbiamo un parametro così alto di 9 mq, ma poi non lo si rispetta. Senza contare che anche dentro uno stesso carcere convivono tipologie di sezioni che presentano punte maggiori di sovraffollamento tra di loro.

Secondo i dati aggiornati dal ministero della Giustizia al 31 agosto, la situazione è allarmante. La capienza regolamentare delle carceri è di 51.206 detenuti, ma al momento ce ne sono ben 58.428. Questo rappresenta un aumento di 679 reclusi rispetto al mese precedente e addirittura 2.791 in più rispetto al mese dell’anno scorso. La detenzione è già di per sé una condizione difficile e drammatica sia per i detenuti, che possono subire violenze sia mentali che fisiche, sia per le gravi difficoltà di reinserimento nella società una volta Il sovraffollamento aggrava ulteriormente la qualità della vita dei detenuti, costringendoli a condividere spazi ristretti. Tuttavia, alla luce dell’argomentazione precedente, è importante ribadire che non possiamo valutare il problema solo in termini numerici assoluti. Ogni carcere ha la sua situazione di sovraffollamento che riguarda ciascuna sezione, e costruire nuove sezioni non è una soluzione efficace. Prendiamo il caso del carcere di Monza, dove il sovraffollamento è diventato insostenibile con 707 detenuti in un’istituzione progettata per ospitarne 411. Questi numeri straordinariamente elevati stanno mettendo a dura prova sia il personale di custodia che i detenuti stessi.

Mentre il ministero della Giustizia sta ancora valutando un decreto legge per dare la possibilità di far usufruire ai detenuti solamente due telefonate in più, non si sta facendo abbastanza per garantire misure alternative per coloro che non hanno strumenti o possibilità di dimora, né per garantire un vero supporto all’affettività attraverso una liberalizzazione delle chiamate. Inoltre il Parlamento si rifiuta tuttora di calendarizzare la legge sulla liberazione anticipata speciale presentata da Roberto Giachetti di Italia Viva, su proposta di Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino.

Prevede due opzioni. Una che si passi dai 45 giorni (già previsti ogni semestre di pena) a 60 giorni di liberazione anticipata per tutti i detenuti che hanno avuto un buon comportamento in carcere. Prevede inoltre che sia direttamente l’istituto a concederla e non il magistrato di sorveglianza già oberato da molte incombenze. L’altra proposta, di liberazione anticipata “speciale”, è di 75 giorni ogni semestre, soprattutto per compensare i due anni terribili che i detenuti hanno vissuto con il Covid. Ma nulla da fare, il sovraffollamento cresce e, di pari passo, anche i risarcimenti ai detenuti.