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di Alessandra Ziniti

La Repubblica, 3 dicembre 2022

Piano entro fine anno: sarà triennale. Nel governo c’è però chi frena. “Precedenza a chi ha l’assegno”. Le associazioni: “Missione impossibile. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi le definisce “soluzioni strutturali di lungo periodo sui temi migratori, rafforzando la collaborazione con i Paesi di transito e partenza dei flussi”. Ecco perché il nuovo decreto flussi, che il governo si appresta a varare prima della fine dell’anno con un dpcm, dovrebbe prevedere una programmazione di ingressi regolari, per ragioni di lavoro, stagionali o a lungo termine, a due o tre anni e non più solo per un anno come è stato finora. Con quote di lavoratori, possibilmente da formare in loco, da offrire prioritariamente ai Paesi extracomunitari che accettano di firmare con l’Italia accordi di rimpatrio per i migranti irregolari e di collaborare alla lotta contro i trafficanti di uomini.

Le richieste delle filiere produttive - “Stiamo lavorando per bruciare i tempi: il governo purtroppo è salito a bordo da pochissimo”, conferma Piantedosi. Gli uffici tecnici e legali dei quattro ministeri interessati, Interno, Esteri, Lavoro e Agricoltura, sono già al lavoro da settimane. Ma i nodi da sciogliere sono parecchi e assai intricati: innanzitutto il numero. Nell’ultima riunione del tavolo, i rappresentanti di Lavoro e Agricoltura (dopo aver sentito tutte le filiere produttive interessate, agricoltura, autotrasporto, edilizia, turismo) hanno buttato sul tavolo quota 100.000, una cifra comunque al ribasso rispetto alle 200.000 richieste arrivate nel 2022 a fronte dei 69.000 posti previsti dall’ultimo decreto flussi. Assai probabile sembra però che alla fine non ci si discosti più di tanto dai 70.000 attuali all’anno.

La ricognizione impossibile dei percettori di reddito - Ma prima di stabilire un numero, il governo immagina di riuscire a fare una ricognizione sui percettori di reddito di cittadinanza cosiddetti impiegabili, coloro cioè che sono nella condizione di essere reimmessi nel circuito del lavoro e che, in teoria, fra sei mesi dovrebbero perdere il sussidio. È a loro che il governo intende dare la priorità piuttosto che chiamare lavoratori dall’estero. Italiani o stranieri che siano, ma già presenti sul territorio italiano perché ci sono anche stranieri che prendono il reddito di cittadinanza - precisano al Viminale nel tentativo di sottrarsi al refrain leghista “prima gli italiani”.

Sembrerebbe l’uovo di Colombo, la norma per altro è già prevista dall’articolo 22 comma 2, del Testo unico immigrazione che impone al datore di lavoro che intende instaurare un rapporto di lavoro con un cittadino straniero residente all’estero, di documentare l’indisponibilità di lavoratori presenti sul territorio nazionale. Norma ovviamente inattuata e inattuabile non fosse altro perché nessun datore di lavoro in cerca di manodopera è in grado di documentare la reale assenza di lavoratori sul territorio. 

Gli uffici del lavoro inadeguati - Di più, la totale inadeguatezza degli uffici del lavoro (che dovrebbero peraltro monitorare i profili professionali e la qualità dei percettori del reddito di cittadinanza) fa sì che non solo chi da anni beneficia di questo sostegno non abbia mai ricevuto proposte di lavoro, ma soprattutto che i datori di lavoro non si rivolgano neanche a questi uffici territoriali per cercare la manodopera di cui hanno bisogno. 

Quanti saranno dunque i percettori di reddito impiegabili a cui dare priorità per far fronte alle richieste delle filiere produttive? Come e da chi saranno individuati in tempi così brevi? Se si dovesse far affidamento sul numero complessivo fatto nei giorni scorsi dal governo (circa 600.000), in Italia non servirebbe alcun decreto flussi. Ma ovviamente così non è e soprattutto nessuno è in grado di dire come entro la fine dell’anno il governo potrà arrivare alla stima necessaria per fissare le quote di ingressi regolari.

Le associazioni: “Progetto impossibile” - Un progetto inattuabile secondo le associazioni riunite sotto il cartello “Ero straniero” che ricordano come gli uffici territoriali del governo non siano ancora riusciti a ultimare le pratiche per la sanatoria (del 2020) di 200.000 lavoratori stranieri già presenti in Italia e tantomeno quelle altre 200.000 a fronte dei 69.000 posti disponibili del decreto flussi 2022. “Il governo - dicono - sembra ignorare quanto accade in termini di domanda e offerta di manodopera, italiana o straniera che sia, e di come sia di fatto impossibile per i datori di lavoro riuscire a reperire le figure che servono”.