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di Danilo Taino

Corriere della Sera, 31 maggio 2022

Dal 1995 l’OxyContin, prodotto dalla Purdue Pharma della famiglia Sackler, è stato al centro di una grande operazione di lobbyng e quindi prescritto massicciamente: il farmaco, per molti analisti, è all’origine dell’ondata record di decessi (causati da fentanyl e altre droghe sintetiche). I Sackler con il loro “Impero del Dolore” sono ora in disgrazia. E torna l’interrogativo sulle strategie

L’Impero del Dolore aveva il suo monumento nell’ala Nord del Metropolitan Museum of Art di New York. Un’immensa sala e un’immensa vetrata per contenere il Tempio di Dendur, costruito duemila anni fa sulle rive del Nilo e regalato dall’Egitto agli Stati Uniti nel 1965. Era la Sackler Wing, in onore della famiglia grande benefattrice delle arti ma non necessariamente della società americana. Lo scorso dicembre, il Met ha cancellato il nome Sackler, dopo che l’impero farmaceutico costruito dalla famiglia in sette decenni è crollato nel disonore e nei tribunali. Ora, mantenerne la gloria fa male alla reputazione: anche il Louvre ha rimosso il nome da alcune sale e la Serpentine Gallery di Londra ha rifiutato il denaro della famiglia. I musei, in fondo, se la cavano in fretta. Altrove, le onde sono invece più alte: la caduta dei Sackler ha aperto un’introspezione americana: proibizionismo o legalizzazione nella lotta alla crisi da oppioidi e alle morti da overdose?

La domanda, che non sembra avere una risposta univoca, è salita nella scala degli interrogativi che si pongono gli americani da quando, questo maggio, l’agenzia governativa Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) ha pubblicato i dati sulle morti per overdose da droghe riferiti al 2021: 108 mila, secondo dati preliminari. Il tetto psicologico delle centomila vittime all’anno è stato frantumato. La pandemia e i lockdown sono le cause dell’impennata dei decessi degli scorsi due anni, aumentati del 30% nel 2020 e del 15% nel 2021; l’anno scorso, pari a quasi un quarto dei morti americani per Covid. Ma la tendenza viene da lontano: il numero delle vittime da overdose è aumentato regolarmente dal 2000, con la sola eccezione del 2018. La crisi da oppioidi è oggi uno dei principali motivi di decesso negli Stati Uniti, più dell’Aids, più delle armi, più degli incidenti stradali. Se si considerano le morti degli scorsi vent’anni, il dilemma proibizionismo vs legalizzazione, che sembrava pendere a favore della seconda, si complica.

Gli spacciatori di fentanyl, killer di massa - Le droghe illegali responsabili delle overdosi sono in gran parte oppioidi sintetici, in particolare il fentanyl (71 mila vittime l’anno scorso), e stimolanti come le metanfetamine (33 mila vittime), spesso mixati. In particolare, l’oppioide fentanyl, nato per lenire il dolore, nelle mani degli spacciatori è diventato un killer di massa. È poco costoso, viene realizzato per lo più in laboratori in Messico, con componenti di base cinesi, e poi fatto entrare clandestinamente negli Stati Uniti. È cinquanta volte più potente dell’eroina e cento volte più della morfina. Prima di venderlo ai consumatori, le gang lo mischiano con altre droghe e altri stimolanti, addirittura contraffanno pillole alle quali poi danno nomi di farmaci, per esempio lo Xanax. Chi compra questi prodotti, nelle strade della California o dell’Ohio, spesso non sa che contengono fentanyl o in quale quantità: il rischio di overdose è alto.

Un pezzo di America continua a ritenere che il Paese debba essere drugfree, cioè debba condurre una guerra senza tregua all’uso di droghe, a chi le commercia e, secondo alcuni, anche a chi le consuma. Un altro pezzo si domanda se non sia meglio legalizzarne in qualche forma il commercio in modo da abbassare il rischio di trovare prodotti mortali sul mercato illegale. Un dilemma non risolto da anni, diventato ora dirimente nel pieno della opioid-crisis. Lo scarso successo della politica di zero-droghe fa propendere per l’abbandono del proibizionismo totale e per la legalizzazione regolamentata. Ma è qui che a confondere le cose entrano in campo i Sackler e il loro “Impero del dolore”, come l’ha chiamato Patrick Radden Keefe nel suo libro Empire of Pain. Perché sono proprio certe droghe legali e regolate all’origine della opioid-crisis di oggi, secondo la grande maggioranza degli esperti.

Gli errori della famiglia Sackler - Tutto comincia nel 1995, quando la Food and Drug Administration permette la commercializzazione dell’OxyContin prodotto dalla Purdue Pharma, gruppo posseduto dalla famiglia Sackler. L’OxyContin è un oppioide semisintetico per il trattamento dei dolori. Nei primi anni di commercializzazione, tutto procede con una certa regolarità. Nel 2001, succede però che la Joint Commission - un’organizzazione non-profit di enorme rilevanza nel sistema sanitario degli Stati Uniti - indica ai fornitori di servizi medici di chiedere ai pazienti se sentono un “dolore”, dal momento che lo ritiene un sintomo di malessere poco indagato. Da allora, il dolore inizia a essere considerato il “quinto parametro vitale” per iniziare a stabilire lo stato di salute di una persona, dopo la temperatura, la pressione del sangue, la capacità respiratoria e il battito cardiaco.

Molti medici ritengono che in realtà il dolore sia un sintomo, non un segnale, fatto sta che da allora le prescrizioni di oppioidi contro il dolore iniziano a crescere. Purdue Pharma vede l’opportunità e inizia una politica di lobbying, di pubbliche relazioni, di coinvolgimento di medici, di convegni per sostenere l’efficacia e la sicurezza, non provata, dell’OxyContin. E organizza una forza di vendite e di marketing che rende il farmaco dominante sul mercato. Altre case farmaceutiche realizzano prodotti del genere ma l’OxyContin batte tutti: dal 1996, ha portato nelle casse di Purdue 35 miliardi di dollari, dicono le stime. Gli Slacker si arricchiscono ulteriormente fino a quando non scoppia lo scandalo delle pratiche scorrette dell’azienda e tutto finisce nei tribunali con un rosario di cause molto serie. E con la convinzione generalizzata che la opioid-crisis sia iniziata così, con un oppioide legale “pompato” sul mercato e tra i medici che ha aperto la strada al fentalyn e simili illegali.

I filantropi che fanno soldi sul dolore - La famiglia, fino a quel momento apprezzata come un esempio di generosità filantropica, crolla nella reputazione e deve affrontare corti e avvocati. Lo scorso marzo, ha raggiunto un accordo da sei miliardi di dollari per aiutare le comunità a mitigare la crisi da oppioidi. Un altro miliardo e mezzo lo sborserà la Purdue. E la McKinsey ha trovato un accordo per il quale verserà quasi 600 milioni a 47 Stati americani per avere contribuito, con le sue consulenze, alle turbo-vendite della Purdue. Anche la legalizzazione regolamentata, insomma, si porta dietro dei rischi. Il Proibizionismo americano sul commercio di alcol, dal 1920 al 1933, non eliminò gli speakeasy, il contrabbando dei Roaring Twenties e nemmeno le gang criminali. E la guerra alla droga dei decenni scorsi non si può definire di successo.

Dipendenze e spaccio nelle strade e nei parchi - Dall’altra parte, il caso dei farmaci legali che hanno indotto l’epidemia da oppioidi in corso negli Stati Uniti racconta che i rischi di diffusione sono alti comunque. Con ogni probabilità, la legalizzazione toglierebbe una parte di business ai cartelli criminali ma difficilmente li smantellerebbe: forse i casi di overdose si ridurrebbero ma molte vittime della dipendenza, soprattutto le più povere, continuerebbero a rifornirsi nelle strade e nei parchi, è l’opinione di gran parte degli esperti. La questione resta non risolta. D’altra parte, anche sciogliere il dilemma non sarebbe forse risolutivo. La droga non è solo un problema di offerta: c’è anche la domanda che sale dalla solitudine e da una società disorientata. Quella società che aveva fatto grande l’Impero del Dolore.