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di Patrick Zaki*

La Repubblica, 5 giugno 2023

Nel 2011 la Primavera araba è partita dalla Tunisia, prima scintilla della rivoluzione. Io ero al secondo anno di università e ricordo che, subito dopo Natale, prima della sessione di esami, i miei coinquilini sono rientrati in fretta a casa dicendo di accendere subito la tv, perché la politica della regione stava cambiando. Emozionati, con gli occhi fissi allo schermo, proiettavamo ciò che stava accadendo laggiù sul nostro Paese, rendendoci conto che è un falso mito che i leader della regione araba cambino solo quando muoiono. La rivoluzione tunisina è stata di ispirazione a tutti i giovani della regione e in tema di rivoluzioni e di primavera araba il nostro riferimento resta sempre la Tunisia.

Dopo i fatti tunisini l’idea della rivoluzione ha spaventato altri Paesi arabi, in particolare a seguito di decenni di dittature stabili, oltre al fatto che alcuni sono tuttora soggetti a un sistema monarchico, il che può farci capire quanto il pensiero di una rivoluzione sia remoto per questa regione. Ciò che è accaduto in Tunisia è importante perché là sono riusciti a interrompere il ciclo dei regimi immutabili, dimostrando che la possibilità di cambiare esiste, se vogliamo un vero cambiamento che sia di ispirazione e trasferisca ad altri Paesi la fiamma della rivolta.

Non si tratta solo della rivoluzione, ma anche di quanto accaduto in seguito. Dopo la rivoluzione la società tunisina aveva registrato molti progressi in ogni campo e credo che la Tunisia sia il Paese della regione in cui la rivoluzione ha ottenuto il massimo successo, anche se il cambiamento in senso progressista e democratico è stato temporaneo. Io personalmente ricordo benissimo il video dell’uomo che esultava in strada per la fuga del dittatore al potere, Ben Ali. All’epoca la Tunisia era vista come un faro di speranza per il progresso e le libertà ad ogni livello per la generazione araba post-rivoluzionaria.

Le aspirazioni della rivoluzione tunisina sono svanite lasciando dietro di sé un paesaggio politico contrassegnato dal governo di un solo uomo e da instabilità. Si tratta di una enorme battuta di arresto non solo per la Tunisia, ma ovunque per la gioventù araba che aveva sperato nel cambiamento democratico e in una società più inclusiva. Purtroppo l’avvento di Kais Saied ha infranto quei sogni. Un tempo la Tunisia era considerata un faro di speranza, ma oggi il presidente dà dei criminali violenti agli abitanti dell’Africa sub sahariana, con l’implicito intento di cambiare la composizione demografica del Paese. Questa svolta è un cupo promemoria di quanto la Tunisia abbia deviato dal percorso originale dopo la rivoluzione del 2011.

Nel 2019, il popolo tunisino ha eletto presidente Kais Saied sulla base della sua promessa di lotta alla corruzione e lui e il primo ministro Hichem Mechichi hanno compiuto i primi passi verso questo obiettivo. Tuttavia, i tunisini rimangono frustrati per la mancanza di trasparenza e il costo elevato che la corruzione impone all’economia del loro Paese. Per avere una visione più chiara della situazione, è necessaria un’analisi del panorama della corruzione tunisina.

All’annuncio della vittoria elettorale di Kais Saied, mi è stata chiara la regressione in atto in Tunisia in termini di democrazia, trasparenza e sviluppo. Per tutta la campagna elettorale Saied ha espresso opinioni discutibili, che vanno dal sostegno alla pena di morte alla difesa del diritto ereditario rispetto al diritto civile. Era inoltre preoccupante la sua posizione discriminatoria nei confronti della comunità Lgbtq+. Questa analisi ha rivelato i potenziali ostacoli allo sviluppo che attendevano la Tunisia sotto la presidenza di Saied.

Erano tutti segnali che la Tunisia si trovava sull’orlo di una nuova fase dittatoriale e conservatrice dopo tutti i passi fatti nel tentativo di democratizzare lo stato. Non c’è voluto molto prima che Kais mostrasse il suo vero volto e i suoi piani per cancellare qualunque ipotesi di democrazia. Dopo soli 8 mesi di governo Kais Saied ha aperto una crisi politica con una mossa audace, destituendo cioè il primo ministro Hichem Mechichi, sospendendo le attività parlamentari e assumendo nuovi poteri giudiziari. Centralizzando tutti e tre i poteri statali, Saied ha effettivamente assunto il pieno controllo del governo, portando gli osservatori sia nazionali che internazionali ad accusarlo di autogolpe. Questa mossa senza precedenti ha scatenato polemiche e alimentato preoccupazioni sul futuro della democrazia tunisina.

A partire dalle ultime elezioni presidenziali è evidente in Tunisia una preoccupante deriva verso la dittatura. La situazione è peggiorata nel febbraio 2023 con la più grande ondata di arresti da anni a queste parte, che ha coinvolto personalità di spicco della politica e degli affari. Kais Saied ha persino arrestato un membro dell’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini, sindacato che conta oltre un milione di iscritti, e ha dato il via a una dura repressione contro gli oppositori del suo governo. Ne è esempio l’arresto del direttore di Radio Mosaïque, nota emittente radiofonica indipendente che ha osato criticare il presidente. Questo, a mio avviso, a dimostrazione della preoccupante tendenza alla soppressione del dissenso e alla limitazione della libertà di espressione in Tunisia.

Nel discorso registrato del 24 febbraio 2022, il presidente Saied ha accusato le organizzazioni della società civile di essere al servizio degli interessi di potenze straniere e di intromettersi negli affari politici della Tunisia. Ha poi annunciato l’intenzione di vietare ogni genere di finanziamento straniero a favore di tali gruppi. Questa mossa rientra nell’analisi e nella strategia del presidente Saied per tutelare la sovranità della Tunisia mantenendola indipendente da influenze esterne.

Un discorso che fa capire quale sia l’approccio di Saied nei confronti dei diritti umani e della libertà di opinione. L’analisi di questo discorso riflette l’approccio di Saied ai diritti umani e alla libertà di opinione nella regione araba. La proposta di Saied di presentare l’opposizione, qualunque essa sia, come un complotto finanziato dall’Occidente è specchio della strategia dello spaventapasseri comune nell’area Mena. Tuttavia, si tratta di una percezione irrealistica e lontana dalla verità. Più che tentare di distruggere le terre arabe, i Paesi occidentali puntano alla stabilità nella regione, anche se i regimi non sono democratici e violano i diritti umani, per proteggere i propri interessi e alleviare il peso dell’immigrazione da quei Paesi.

In Tunisia, si discute di una eventuale norma di legge potenzialmente in grado di ostacolare la creazione di organizzazioni civili e istituzioni per i diritti umani. La bozza di questa legge è trapelata dopo i recenti tentativi del presidente Saied di indebolire la società civile tunisina, che includono l’arresto di politici dell’opposizione e limitazioni nei confronti dei membri della società e delle loro attività. Dopo aver riflettuto, ho compreso l’importanza di raccogliere informazioni da operatori della società civile tunisina appartenenti a diverse istituzioni al fine di ottenere un’analisi approfondita dello stato attuale e delle difficoltà in cui versa la società civile tunisina.

Mohamed Mostafa, direttore di una organizzazione della società civile tunisina ha dichiarato a Repubblica: “Certo, è in corso un attacco alla società tunisina iniziato quando il presidente tunisino ha mosso accuse di tradimento e collusione contro tutti gli operatori della società civile”. Mostafa ha proseguito confermando che il partito politico che appoggia il presidente tunisino sostiene questa idea e che ha addirittura pubblicato un rapporto sulle violazioni compiute dalle istituzioni della società civile tunisine.

L’attacco alla società civile in Tunisia, come confermato da Asrar Ben Jouira della Fondazione Tunisina per l’Intersezionalità Femminista, si basa principalmente sul sospetto nei confronti dei finanziamenti dall’estero. Kais Saied e i suoi sostenitori ritengono che questi fondi siano mirati a cambiare l’identità della comunità arabo-islamica attraverso attività di patrocinio di lotte come quella per la parità nel diritto ereditario e le campagne per la tutela dei diritti Lgbtq+.

Inoltre tali organizzazioni sono reputate responsabili dell’ingresso di africani subsahariani in Tunisia, con l’intento di alterare la composizione demografica della società. L’attacco si estende alle organizzazioni che si oppongono all’autorità statale in casi giudiziari legati alla cospirazione contro la sicurezza dello Stato, e i sostenitori del presidente lo esortano a sciogliere associazioni e organizzazioni e a interromperne i finanziamenti. Secondo Asrar Ben Jouira, il presidente Saied ha fatto riferimento alla questione in vari discorsi e dichiarazioni.

Secondo il ricercatore tunisino Gilan Jelassi, in Tunisia la società civile è sotto attacco a partire dalla dichiarazione dello scioglimento del Parlamento nel mese di luglio. Mostafa e Asrar confermano che da lì è partita una campagna più ampia contro la società civile e i suoi operatori in tutto il Paese. Ma questi attacchi non sono passati inosservati alle autorità. Gilan Jelassi ha avuto difficoltà a rinnovare il passaporto con conseguente limitazione della sua libertà di movimento. Anche Asrar ha subìto persecuzioni ed è stata accusata di vari reati, come offesa a pubblico ufficiale e impedimento alla libera circolazione, accuse che comportano pesanti multe e la potenziale condanna fino a dieci anni di carcere. Le accuse derivano dall’aver organizzato una dimostrazione di protesta contro il referendum sulla costituzione tenutosi il 18 luglio 2022. Questa analisi evidenzia una preoccupante tendenza a osteggiare la società civile e a sopprimere le voci che invocano il cambiamento.

A detta di Asrar e colleghi la situazione in Tunisia si è fatta negli ultimi tempi sempre più pericolosa. Le banche del Paese impongono restrizioni alle transazioni che concernono le organizzazioni della società civile. Di conseguenza Asrar e la sua fondazione hanno deciso di spostare la sede in un luogo più sicuro, preoccupati delle possibili violazioni delle libertà civili. Hanno la sensazione che la comunità internazionale taccia su questa situazione il che è di incoraggiamento ai responsabili del colpo di stato.

Alissa Pavia, Associate Director presso l’Atlantic Council di Washington, afferma che l’Italia sta facendo finta di non vedere il regresso democratico in Tunisia. Le costanti pressioni italiane sul Fmi per la concessione di un nuovo prestito alla Tunisia hanno destato perplessità data la situazione politica attuale del Paese e la crescente retorica anti immigrazione promossa dal presidente Saied negli ultimi mesi.

Asrar ha spiegato che la priorità italiana al momento attuale è la protezione delle frontiere dal flusso di immigrati, soprattutto quelli provenienti dall’Africa subsahariana, e si riflette nel sostegno a dittatori come Kais Saied, che propagano idee fasciste e razziste con il pretesto di contrastare l’alterazione della composizione demografica tunisina. In realtà, tali azioni mirano a compiacere i Paesi europei, le cui politiche sono ora contrarie all’immigrazione. Inoltre, l’Italia ha ignorato il problema delle persecuzioni nei confronti dei politici e del loro coinvolgimento in cospirazioni fittizie. Come evidenzia Asrar, l’Italia si è rivelata un fermo alleato del dittatore tunisino, a dispetto di tutti i suoi crimini politici e della soppressione della democrazia.

A mio avviso l’Europa si è dimostrata complice della situazione in corso in Tunisia, ignorando le numerose violazioni commesse dal presidente Kais Saied sia a livello istituzionale che legislativo. Le azioni del presidente costituiscono un chiaro tentativo di minare i pilastri della democrazia nel Paese. Ancor più preoccupante è che i Paesi europei siano pronti a offrire sostegno economico a Saied, senza riconoscere o affrontare i problemi in questione. Nei prossimi giorni, assisteremo a una preoccupante tendenza da parte europea ad avallare i programmi antidemocratici di Saied, senza invocare il ripristino della democrazia e della libertà di parola, due componenti cruciali della rivoluzione tunisina.

*Traduzione di Emilia Benghi