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di Tiziana Maiolo

Il Riformista, 28 febbraio 2023

Ha 81 anni, ma il procuratore di Torino lo ha indagato per la sparatoria a Cascina Spiotta dove morì un appuntato e un brigatista riuscì a fuggire. Ora Curcio vuol sapere chi sparò alla fidanzata Mara Cagol.

Sarà stato per quel gruppo musicale che si chiamava “P 38-La Gang” che pareva inneggiare alle Brigate rosse, che aveva dedicato un brano alla Renault rossa in cui fu trovato il corpo di Aldo Moro, e che diffondeva magliette con il nome del capo Br Renato Curcio. O sarà anche stato il fatto che certi lutti non passano mai, quando hai subito la tragedia da bambino e poi devi spiegarla ai tuoi figli, nella speranza che possano capire, loro millennial, che cosa sono stati gli anni settanta del novecento.

Fatto sta che Bruno D’Alfonso, ex carabiniere andato in pensione giovanissimo come molti suoi colleghi, e figlio di quell’appuntato Giovanni che il riposo dal lavoro non fece in tempo a sognarlo perché lo ammazzarono a 45 anni, l’anno scorso di esposti alla magistratura ne ha presentati due. Uno nei confronti del gruppo musicale, che nel frattempo comunque si è sciolto. Il secondo è ben più impegnativo e costringe alla memoria del tempo in cui Bruno D’Alfonso era un bambino e in Italia c’era il terrorismo che lo ha privato del padre.

Così, per via di quel secondo esposto, a dolore si somma dolore. Anche perché non c’è un pubblico ministero che abbia la forza di dire che non esiste giustizia a cinquant’anni dai fatti, e poi agire di conseguenza, cioè lasciar perdere anche l’esposto di un figlio che vuol sapere anche l’ultimo nome di coloro che erano presenti all’omicidio di suo padre. Se non lo ha saputo nel corso di cinquant’anni, non sarà certo quel nome a dare soddisfazione al suo bisogno di giustizia. Né crediamo possa dare piacere il fatto che Renato Curcio, ex capo delle Br, un signore anziano di 81 anni sconosciuto ai più, tranne forse tra i giovani, a quei quattro che avevano costituito il gruppo che inneggiava alla P 38, sia oggi indagato addirittura per concorso in omicidio.

La preistoria di 48 anni fa segnala le prime attività delle Brigate Rosse, quelle di cui Renato Curcio fu fondatore e capo e il giorno tragico che porta la data del 5 giugno 1975. Il giorno precedente il nucleo torinese delle Br aveva realizzato il sequestro-lampo dell’amministratore delegato di una importante azienda di spumanti, Vittorio Vallarino Gancia. L’intenzione era di chiedere un miliardo di lire per il riscatto e di finanziare l’attività del gruppo terroristico. Che evidentemente, per lo meno all’inizio, non aveva ancora sviluppato le capacità di azione e mimesi che mostrerà solo tre anni dopo con il sequestro del presidente della Dc Ado Moro e l’uccisione della scorta in via Fani a Roma. Fatto sta che il luogo della prigionia di Vallarino Gancia fu individuato ventiquattro ore dopo il rapimento, alla cascina Spiotta nell’alessandrino.

L’irruzione fu fulminea, il sequestrato fu liberato e nello scontro tra terroristi e forze dell’ordine furono uccisi l’appuntato D’Alfonso e Margherita Cagol, moglie del capo Br Renato Curcio. Un altro carabiniere rimase ferito e un terrorista riuscì a scappare e non sarà mai individuato. Qualcuno dice che potesse essere Mario Moretti, colui che dopo l’arresto di Curcio, avvenuto un anno dopo, divenne il numero uno delle Br e organizzò il rapimento e l’uccisione di Moro.

Ma non si sa. Ora i magistrati vogliono sapere da Curcio quel nome, e per cavarglielo di bocca lo imputano di “concorso” nell’omicidio dell’appuntato. Si mobilita persino la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. A questo punto si risveglia però anche lo spirito battagliero dell’ottantunenne Renato Curcio, a chiedere pure lui giustizia. Per sua moglie Margherita, che era una terrorista, ma che fu probabilmente, così si intuì allora sulla base dei risultati dell’autopsia, uccisa a freddo mentre si era arresa e stava con le braccia alzate. E quindi? Signor Bruno D’Esposito è così sicuro di voler riaprire il caso cinquant’anni dopo?